La fibra di soia è realmente sostenibile?

fibra di soia

Dalla fibra di soia si può ricavare un tessuto naturale perfetto anche per l’arredo d’interni. È però realmente sostenibile?

Cosa significa scegliere tessuti sostenibili?

La nascita del tessuto in fibra di soia

Il primo a volerla utilizzare nell’industria tessile fu il magnate dell’auto Henry Ford. Egli, infatti, studiò l’utilizzo del legume come biomassa e biocombustibile e brevettò una fibra con il nome di Azlon. Il processo per la sua produzione utilizzava sostanze altamente tossiche come la formaldeide e non lo rendeva comunque abbastanza resistente. Nel 1999 un industriale e scienziato di Shanghai, Li Guanqi, mise a punto la Soybean Protein Fibre, un tessuto morbido e leggero.

I tessuti in fibra di soia, infatti, sono soffici e brillanti, e questo materiale viene spesso definito come il ‘cashmere vegetale‘. Viene apprezzato perché:

  • ha proprietà antibatteriche e traspiranti
  • è permeabile all’aria
  • bloccare le radiazioni UV
  • ha una resistenza circa tre volte superiore a quella della lana

Può sostituire altre fibre o combinarsi nella tessitura con lana, seta, lino e cotone.

Come viene prodotta

La fibra di soia viene ricavata dagli scarti della lavorazione della soia per l’industria alimentare tra bucce e baccelli. Si tratta di una pianta rinnovabile che richiede pochi pesticidi e costituisce un valido tipo di coltura a rotazione. È un tessuto biodegradabile che si deteriora facilmente.

Il problema però è che gran parte della soia è geneticamente modificata. È anche preoccupante l’espandersi delle coltivazioni di soia a scapito delle foreste, soprattutto pluviali. Inoltre, il processo di estrazione della soia è chimicamente complesso e anche se le sostanze chimiche possono essere riutilizzate più e più volte, sicuramente avranno ripercussioni sul futuro.

La questione sulla sostenibilità

Come spiega a Lampoon l’ingegner Claudio Tonin dell’istituto di Sistemi e Tecnologie Industriali Intelligenti per il Manifatturiero Avanzato del CNR di Biella, ci sono fibre naturali che vengono trattate chimicamente per arrivare ad un polimero sintetico e la soia rientra proprio tra le materie proteiche che devono essere trattate chimicamente per diventare fibra perché è una proteina globulare e non lineare.

«Questa proteina non è filabile di per sé, bisogna estrarla dai fagioli di soia. Per farlo, le proteine devono essere sciolte in ambiente basico (soda caustica) perché in ambiente acido si rovinerebbero e in ambiente stabile (a ph cinque) non si slegherebbero. Dopo questo primo passaggio si ottengono delle soluzioni viscose che saranno poi estruse attraverso un macchinario con dei fori. Il ‘filo’ ricavato deve essere allineato e coagulato con una successiva immersione in una base di acqua e acido. Poi, le fibre devono essere rinforzate con sostanze reticolari reattive come l’alcool polivinilico – o come si faceva in passato – con la formaldeide (sostanza chimica con caratteristiche tossiche ndr)», spiega l’Ing. Tonin.

Proprio per questo si deve cercare di puntare a una lavorazione di nuove fibre e al miglioramento di queste. La coltivazione della soia ha un effetto positivo sul terreno in cui cresce ed è una pianta leguminosa che arricchisce il terreno. Nel nostro Paese però non esiste una filiera completa per la trasformazione di queste in tessuto. La soia resta comunque un cibo molto diffuso e perciò resta una valida alternativa più sana ed ecologica rispetto ai tessuti tradizionali.

Quali sono i tessuti che inquinano di più

Pillole di curiosità – Io non lo sapevo. E tu? 

  • In base ai dati di Soia Italia (Associazione Proteine Sostenibili), le leguminose rappresentano solo il tre-quattro percento dei terreni coltivati in Europa. In Italia viene prodotto il 47% della produzione UE di soia, destinata per l’alimentazione umana e zootecnica.

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