Della Danimarca ho letto molto, negli ultimi anni. Non tanto delle loro città, del loro cibo, delle loro tradizioni, quanto della loro cultura Hygge. Una parola tanto danese, che pare sia intraducibile, sia in italiano che in inglese.
La luce calda di una candela, un bicchiere di vino rosso sul terrazzo di casa, una telefonata ad un amico, una tisana fumante, il profumo della torta in forno, accogliere qualcuno e gustarsi assieme una serata sul divano tra chiacchiere e plaid. Tutto ciò è Hygge, ovvero che “che fa stare bene” (questo il suo originario significato in norvegese).
Negli ultimi sette anni, la Danimarca è stata eletta tra le 3 nazioni più felici sulla terra. Capite che avere delle aspettative alte su questo paese è abbastanza naturale. Curiosa come sono, ancora prima di partire, mi informai su questa fantomatica classifica,il World Happiness Report, stilato dalle Nazioni Unite. “Come diavolo si potrà mai calcolare la felicità?”, pensai. Spulciai qua e là, ma rinunciai delusa. Troppi grafici, numeri, percentuali, trend, per il mio personale concetto di felicità.
Oltre alle aspettative, alte, su questo paese, ho deciso anche di fare una toccata e fuga proprio nel giorno del mio compleanno. Insomma, cosa potevo desiderare di più? I miei primi 31 anni, nella terra della felicità!
Sono atterrata a Copenaghen alle 8 di una domenica mattina primaverile, dopo praticamente solo 3 ore di sonno. Alle 8.30 ero già in centro, zainetto in spalla, pronta per scoprire la capitale danese. Da brava italiana, e con poche ore di sonno alle spalle, il caffè è stato una manna dal cielo. La ricordo come la colazione più costosa della mia vita, qualcosa come 11 o 12€ per un “caffè” americano e un smørrebrød, una fetta di pane di segale con burro, salmone affumicato, avocado e una salsina al rabarbaro. Buono, per carità,ma decisamente troppo caro (ne avrei mangiati altri 3, tra l’altro); ma era il mio compleanno, ed in fondo, me lo meritavo.
Sì, Copenaghen è costosa, molto costosa. E’ una delle prime cose che scopri appena atterri, anzi, ancor prima, tra costo del volo e dell’alloggio. A Copenaghen non ho trovato stanze singole al di sotto dei 65-70€ per notte. “Bene, sarà la volta buona che vado in ostello!”, pensai. Quando viaggio da sola, amo godermi la serenità di una camera privata o di una stanza in un appartamento (AirBnb); in Europa trovo sempre qualcosa sui 25/30€ per notte (a volte anche meno). Dopo un’intera giornata a spasso, rientrare e potersi rilassare in estrema tranquillità è quello che ci vuole, magari cucinandosi al volo qualcosa che hai comperato poco prima al mercato locale. In pieno stille Hygge, direi. Ma qui si stava esagerando, 70€, per una sola notte anche no. Approdai così al BedWood Hostel, carinissimo ostello ospitato in un ex magazzino di legno e muratura, per la mia prima volta. Letti a castello, noleggio di lenzuola, tavoloni comuni, ampie zone relax: esattamente come lo visualizzavo, nel mio immaginario. Sì, ero decisamente eccitata dal passare la mia prima notte in ostello! Il tutto alla “modica” cifra di 35€, per lo meno con colazione inclusa (visti i prezzi delle colazioni e della mia fame mattutina, possiamo considerarlo un vero affare).
GIORNO 1 – La domenica mattina scorre lenta e silenziosa. In giro solo runners, in generale sportivi, e turisti. Tanti turisti, alla ricerca di un localino per fare colazione. Ricordo di aver pensato “Ma dove sono i locali!?”. In praticamente poche ore, tocco quasi tutti i punti turistici della città. Piccola, estremamente a misura d’uomo, col suo perfetto stile nordico, piena di bici che sfrecciano lungo i km di piste ciclabili. Sì, Copenaghen è una città molto vivibile, anche e soprattutto per le numerose aree verdi, parchi, in cui rilassarsi, giocare, leggere. Puoi addirittura perderti tra i sentieri e fare picnic nel parco-cimitero di Assistens. Non è un cimitero monumentale, ma passeggiare tra le lapidi, mangiare un gelato, o fare foto agli scoiattoli che zampettano qua e là è molto insolito e suggestivo.
Opto per un pranzo al sacco al giardino botanico, in un atmosfera magica tra laghetti e numerose specie botaniche diverse, dopo aver visitato gratuitamente la maestosa serra. Nel pomeriggio mi dirigo nelle zone con le attrazioni più conosciute, tra cui il Castello di Rosemborg e il palazzo di Amalienborg. Inizio a sentire un filo di stanchezza, guardo il braccialetto contachilometri e scopro di aver camminato 25 km. Chi lo avrebbe mai detto che avrei scarpinato tanto, dopo una levataccia alle 3 del mattino? E’ veramente incredibile quanto la mente possa influenzare il fisico.
E’ il momento di una breve sosta, lasciare lo zaino (leggerissimo, per carità) e fare il check-in. Mi capita una camerata mista, con una decina di letti. Giusto il tempo di fare il letto (o meglio, il trauma di fare il letto. Avete mai sistemato le lenzuola di un letto a castello?) ed arrivano i miei compagni di stanza. Un viaggiatore solitario tedesco, che mi cede il suo armadietto perché il mio è rotto (“A me non serve, ho tutto nello zaino sotto al letto, usa il mio!”), ed una coppia di amici di non ricordo dove, col loro carico di birra e uva fresca. Si chiacchiera, accetto qualche chicco di uva, ma ho voglia di godermi il tramonto da qualche parte. Lascio il cellulare in carica, e scopro che le prese sembra che sorridano. Meraviglioso!!
Le simpaticissime prese danesi. Come si fa a non sorridere guardandole??
In zona Nyhavn (pensa a Copenaghen. Hai presente il canale, le barche, i locali, le casette colorate? Ecco.) è pieno, decisamente troppo pieno di bar, ristoranti,e soprattutto turisti. Decido di allontanarmi e poco più in là scopro Ofelia Plads. Mi imbatto finalmente in quella che mi immaginavo fosse la Danimarca: qua trovo musica jazz, un paio di bar, sdraio e puff liberi, e relax, decisamente tanto relax. C’è chi legge, chi chiacchiera, qualche coraggioso fa il bagno, ma soprattutto si beve. Cerco di non sottrarmi mai alle usanze locali, men che meno ora! Accompagno la mia birretta con delle mandorle, che ho sempre in borsa, ma in breve tempo la stanchezza prende il sopravvento. Esausta, alle 20 torno in ostello. E’ stato un compleanno strano ma bello, posso addormentarmi felice. La stanchezza per la lunghissima giornata e i tappi per le orecchie mi aiutano a prendere sonno alle 20.30 di una domenica sera, in una camerata da 10 persone.
La zona Nyhavn, ricca di vita e locali.
GIORNO 2 – Il lunedì inizia prestissimo, alle 6.30 sono in piedi, dopo essermi fatta una dormita di 10 ore circa. Fa freddo, tutto l’ostello dorme, di colazione manco a parlarne: decido di uscire. Il centro cittadino è piccolo, ripercorro le stesse strade del giorno prima ma sotto tutt’un’altra luce; la città si sta svegliando, non ci sono in giro turisti, i locali sono chiusi. Alle 8, affamata, rientro per gustarmi una super colazione. Uno dei momenti che più attendevo: si sa, il cibo unisce. Attorno a me, coppie, e persino famiglie: non mi aspettavo di trovarle in un ostello! Ci scambiamo qualche parola, mentre sono prese ad organizzare la loro giornata. Resto a tavola una buona oretta, mi godo anche il mio secondo caffè (americano, ovviamente) e finalmente vedo arrivare qualche viaggiatore solitario. Rimango delusa: tutti con cellulare in mano o cuffie nelle orecchie, MA VERAMENTE? Anche qua? Pensavo di chiacchierare amabilmente ma la solita barriera tecnologica mi frena. Un grande classico, certo. Semplicemente immaginavo di imbattermi in più umanità e voglia di condivisione.
Esco dall’ostello un po’ contrariata.
Tendenzialmente, non organizzo nel dettaglio i miei viaggi. Mi lascio trasportare dal flusso. Per questo mini-viaggio a Copenaghen ho fatto lo stesso. Unica tappa sicura: Christiania, il quartiere anarchico, la città libera, il collettivo hippie. Possiamo definirla in molti modi, ma mai nessuno sarà abbastanza esaustivo. Indipendente dal punto di vista economico, legislativo, tassativo, Christiania è una città nella città. Completamente immersa nel verde, piena di murales, colori, profumo di marijuana e di the alla cannella.
E’ stato un viaggio nel viaggio. Per il resto della giornata ho girato a caso, toccando le tappe “obbligatorie” tra cui la Sirenetta di Andersen (ma perché mai deve essere simbolo della città, col suo sguardo così malinconico?) ed il parco Tivoli, citati in tutte le guide turistiche.
La giornata scorre in fretta, ed è già tempo di tornare a casa.
Mi è piaciuta Copenaghen? La città è bella, piena di bici e di aree verdi, con la sua architettura tipica del nord-Europa, ma forse troppo perfetta per i miei canoni. Troppa freddezza, troppo silenzio per strada, mi è sembrata una città poco vissuta. Non ho visto l’Hygge che mi aspettavo, e neanche la felicità tanto acclamata. Brutte cose le aspettative, eh?
Sono stata comunque felice di aver passato un compleanno alternativo: ho scelto, per curiosità, un paese molto lontano da quelli che amo. C’è chi dice che durante il periodo natalizio ci si innamori perdutamente di Copenaghen. Chi lo sa, forse ho semplicemente sbagliato momento. Potrebbe meritarsi un’altra possibilità, ma non adesso: ci sono ancora troppe nuove mete da scoprire.