Tiny house: quale sviluppo? Intervista a Leonardo Di Chiara

intervista Leonardo Di Chiara|

Nel nostro articolo Tiny house movement, sogno o inganno? uscito il 3 agosto, abbiamo parlato del fenomeno delle tiny house, di come si sta sviluppando, di quali sono i vantaggi che questo particolare tipo di soluzione abitativa può avere, e di quanto sia importante mantenere un punto vista analitico e lucido su questo fenomeno.
A questo proposito, nel precedente articolo, abbiamo citato l’autorevole parere di Leonardo Di Chiara, architetto di Pesaro vincitore con la sua tiny house mobile aVOID del premio Berlino 2017 e fondatore della Tiny house University, associazione che sempre a Berlino si occupa dello studio di questo fenomeno e della sperimentazione progettuale sulle tiny house.

Con nostro grande piacere, abbiamo potuto incontrarlo di persona, per approfondire la sua visone sociale, culturale e progettuale del fenomeno.

Ecco l’ intervista che ci ha concesso.

Leonardo, dopo l’importante riconoscimento ricevuto a Berlino è l’inizio dell’avventura con Tiny house University, di cosa ti stai occupando attualmente?
Quello che sto portando avanti al momento, esponendo in modo itinerante la mia aVOID, facendola visitare al pubblico e tenendo conferenze, è un lavoro di sensibilizzazione.
La mia opera di divulgazione si rivolge sia al pubblico dei consumatori che a quello delle Istituzioni. In relazione a queste ultime, il dibattito che voglio favorire è quello che può permetterci di capire come queste abitazioni possono diventare uno strumento per rendere più accessibili le grandi metropoli soprattutto ai giovani studenti e professionisti, che nella costruzione del proprio percorso di studi si trovano a fare i conti con La carenza di alloggi, il pessimo rapporto qualità prezzo di questi ultimi, e il nomadismo urbano.

Quale è la tua visione in merito?
Credo che uno dei modi migliori per utilizzare questa tipologia abitativa in modo utile al tessuto urbano e sociale della città sia quello di creare quelli che ho chiamato “quartieri migratori“: dei quartieri di tiny house, che siano autosufficienti dal punto di vista energetico e che possano essere situati in spazi urbani da riqualificare o temporaneamente in disuso.

 

Gli alloggi ospitati in questi quartieri potrebbero essere assegnati a studenti o a professionisti di cui il tessuto sociale cittadino abbisogna, diventando un ricettacolo di professionalità utili.


Inoltre potrebbero essere un valido strumento per contrastare il degrado e restituire alla vita cittadina parti di suolo pubblico altrimenti dimenticato.
Li ho definiti appositamente “quartieri migratori” rifacendomi al concetto di uccello migratore. Così come gli animali che migrano, questi quartieri potrebbero spostarsi stagionalmente, al fine di occupare quindi spazio urbani che si spopolano o che cadono in disuso a seconda del variare dell’attività stagionali.

Quella della tiny house è una tipologia abitativa che si realizza nell’ottica della condivisione delle cose: la micro abitazione diventa un luogo di rifugio quando il suo abitante sente il bisogno di recuperare la propria intimità e privacy. D’altro canto però è una casa che, disponendo di uno spazio abitativo ridotto, tende a connettersi moltissimo con la città e con i servizi e le opportunità che essa offre.

Leonardo Di Chiara nella sua aVOID

Leonardo, sappiamo che hai un punto di vista estremamente lucido sulle reali potenzialità delle tiny house, e sulle loro migliori possibilità di utilizzo.
Dunque, per una completa comprensione del fenomeno, quali sono a tuo avviso le criticità di questa tipologia abitativa?
Alcune criticità non sono altro che il rovescio della medaglia di alcuni punti di forza. Le dimensioni ridotte per esempio, comportano il fatto che la tiny house possa essere un’abitazione che risponde alle esigenze di una parte della vita, quella ad esempio degli anni da studenti o, per contro, gli anni della pensione.
Chiaramente non è una tipologia abitativa in cui sia possibile allevare dei figli o avere una famiglia numerosa.
Ciò non toglie che rimanga una soluzione da considerare come risposta al business delle stanze in affitto o subaffitto nelle sovraffollate città universitarie o nelle metropoli in cui l’emergenza abitativa assume forme ancor più critiche.

Una ulteriore criticità è rappresentata dai costi di costruzione e manutenzione. Facendo le dovute proporzioni, una tiny house su ruote, per come è stata sviluppata fino ad ora, non è una abitazione economica. Sono tutta via convinto del fatto che con alcuni accorgimenti tecnologici i costi di produzione e manutenzione possono essere notevolmente abbattuti, e credo anche che se si pensasse alle tiny house come ad un progetto di unità aggregate potrebbero essere contenuti anche i costi energetici.

Oltre a ciò è ovviamente indispensabile che vengano colmati dei vuoti normativi, in modo da permettere a consumatori e di investitori di poter disporre appieno di questo tipo di abitazione in armonia con il contesto urbano e il tessuto sociale cittadino.

Ringraziamo Leonardo Di Chiara per il tempo che ci ha dedicato.

Comprendere come questa innovativa tipologia di abitazione può inserirsi in modo utile nel panorama urbano e puoi rispondere ad esigenze sociali concrete senza visioni eccessivamente romantiche è senza dubbio la chiave per trarne il massimo potenziale.
In Europa il fenomeno delle tiny house esiste da alcuni anni, e l’attenzione intorno ad esso non accenna a diminuire. Assisteremo quindi con interesse ai potenziali sviluppi di questa singolare tipologia abitativa

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