Mercoledì 24 Gennaio, presso il Politecnico di Milano, la redazione di Habitante ha avuto il piacere e il privilegio di assistere alla tavola rotonda organizzata da Waiting Posthuman Studio e curata da Azzurra Muzzonigro, durante la quale quattro relatori del calibro di Stefano Boeri, Mario Coppola, Paolo Cresci e Leonardo Caffo si sono chiesti che forma assumerebbero gli spazi della vita in una società postumanista che abbia concretamente superato la prospettiva antropocentrica di comprensione e modellazione del mondo.
WHAT’S POSTHUMANISM?
Il Postumanesimo è quella filosofia che considera l’uomo non come una entità autarchica, fondata su se stessa, bensì come una entità dialogica che si realizza in una dimensione culturale ibrida, frutto del rapporto tra gli occhi dell’uomo stesso, dunque il suo punto di vista sul mondo, e l’alterità animale, ambientale e tecnologica.
Partendo da questo presupposto, il Postumanesimo auspica il superamento della prospettiva antropocentrica propria dell’Umanesimo e ritiene che, una volta dissolta questa istanza, il farsi umano si realizzi nell’assunzione di una prospettiva decentrata rispetto a se stessi in quanto specie.
L’uomo in sostanza, come spiega Leonardo Caffo nell’articolo che presenta il suo libro Fragile Umanità, comparso sul Corriere della Sera, scende dal piedistallo su cui ha posto la propria specie e si riconosce animale umano tra animali non umani, abbandonando quindi la convinzione di meritare un diverso trattamento morale in virtù dell’appartenenza alla specie umana.
Come si può immaginare, le conseguenze etiche e pratiche dell’assunzione di una prospettiva non antropocentrica sarebbero notevoli.
UNA ARCHITETTURA NON ANTROPOCENTRICA?
Se pensiamo all’Architettura come a quella terra di mezzo tra l’arte e la tecnica che ha il compito di trasformare in spazi antropizzati i bisogni fisici e sociali degli esseri umani, possiamo chiederci : “Può l’Architettura, che è sapere e strumento attraverso il quale l’essere umano modella l’ambiente, raccogliere l’invito postumanista e superare la sua vocazione antropocentrica?”
Questa la sfida lanciata da Waiting Posthuman Studio ed esaminata da molteplici prospettive disciplinari durante la tavola rotonda sul tema.
Prendendo le mosse da riflessioni ed approfondimenti sul tema dell’ecosostenibilità e del rapporto tra uomo, natura e tecnica apparse sull’inserto Domus Green curato da Paolo Cresci nel settembre 2017, durante l’incontro è stato considerato come l’utilizzo di tecniche e tecnologie sostenibili sia al momento l’unica declinazione concreta, seppur parziale, della prospettiva non antropocentrica in campo architettonico e progettuale.
SOSTENIBILITÀ: STRUMENTO O SOLUZIONE DI PER SÉ?
Sebbene il tentativo di soddisfare i bisogni umani trovando compromessi e soluzioni che danneggino meno l’ambiente rappresenti senza dubbio un buon passo in avanti rispetto alla logica antropocentrica del “ prendere ciò che vogliamo e farne ciò che vogliamo, come vogliamo”, il dibattito sviluppato dai relatori durante l’incontro ha evidenziato alcune interessanti criticità insite nella retorica della sostenibilità.
Attraverso il progetto di ricerca Distopie Sostenibili curato da Stefano Boeri Architetti, presentato alla Biennale di Venezia del 2008 e comparso su Abitare, Stefano Boeri ha per esempio illustrato come l’interpretazione univoca, riduttiva e radicale della grande questione della sostenibilità, possa generare scenari indesiderabili, in cui il confine tra utopia ecosostenibile postumanista e pericolosa distopia è molto sottile.
Sebbene quelle che potremmo chiamare ‘strade tecniche’, rappresentate dalle nuove tecnologie attente all’ecosistema, siano fondamentali, potremmo chiederci : “Progettare e costruire in modo ecosostenibile significa aver del tutto superato il presupposto progettuale antropocentrico dell’Architettura? “
È proprio questa la provocazione lanciata da Mario Coppola.
Se l’ Architettura consistesse solo in una serie di operazioni tecniche finalizzate alla risoluzione di un problema ( per esempio avere un riparo dotato di un certo livello di comfort) realizzare spazi con un basso impatto ambientale potrebbe essere sufficiente.
Ciò che però distingue l’ Architettura da una pur avanzatissima attività di carpenteria è la volontà espressiva che, in quanto atto creativo, possiede.
Superare la prospettiva antropocentrica in Architettura significa quindi, secondo Mario Coppola, superare la volontà di utilizzare il linguaggio architettonico per affermare l’alterità fisica e morale dell’uomo rispetto al resto del mondo. La vera sfida postumanista consisterebbe quindi nello sforzo di un radicale mutamento della prospettiva insita nel contenuto intellettuale del progetto architettonico.
Che ruolo avrebbero però la tecnica e la tecnologia nella realizzazione concreta di una visione progettuale non più antropocentrica?
È su questo argomento che verte l’intervento di Paolo Cresci, ingegnere esperto di ecosostenibilità.
Considerando lo sviluppo raggiunto dalla tecnica, spiega Cresci, è possibile prevedere con sempre maggiore precisione l’effetto che quello che si costruisce avrà sull’ambiente. Superare la prospettiva antropocentrica nell’applicazione delle tecnologie quindi, può significare ribaltare il presupposto progettuale della riduzione dell’impatto ambientale, non chiedendosi più come intervenire per fare “meno male” all’ambiente ma come apportare all’ambiente i maggiori benefici.
Tutto perfetto dunque, se non fosse per un interrogativo.
Nella misura in cui si auspica il superamento di una prospettiva antropocentrica in funzione dei benefici che la specie umana ne ricaverebbe, non si è ancora antropocentrici? Insomma, parlare di Postumanesimo non è comunque Umanesimo?
IL POSTUMANESIMO COME STIMOLO PER UNA RIFLESSIONE AUTOCRITICA
In fondo come spiega Leonardo Caffo, filosofo molto attento alla tematica postumanista, il compito della Filosofia è quello di proporre paradigmi assoluti, ancora lontani dal concretizzarsi nel comportamento umano.
La nostra specie infatti, non è postumanista, e non si comporta come tale. Tuttavia, la riflessione sul Postumanesimo rappresenta uno stimolo per ridiscutere il rapporto tra uomo e ambiente.
Dunque, dall’incontro promosso da Waiting Posthuman Studio, non soluzioni ma nuovi stimoli, perché come dice Caffo, tra noi e la compiuta realizzazione del Postumanesimo ci sono infinite tappe intermedie, che pur rappresentando piccoli progressi parziali, sono l’unico modo in cui possa materialmente concretizzarsi la revisione dell’antropocentrismo.
BOERI E COPPOLA, PROGETTARE LE TAPPE DEL POSTUMANESIMO
È in questo filone progettuale che si colloca l’attività di due architetti in un certo senso rivoluzionari, Stefano Boeri e Mario Coppola.
A Stefano Boeri va senza dubbio riconosciuto, oltre alla straordinaria visione creativa, il merito di aver concepito una nuova generazione di architetture, inaugurata da Bosco Verticale a Milano, che inglobano la sfera vegetale come elemento essenziale del progetto, superando il concetto di verde inteso solo come decorazione. Architetture che non si propongono solo di risolvere una esigenza abitativa, ma soprattutto di contrastare attivamente il cambiamento climatico e incrementare la biodiversità nei contesti urbani.
La rivoluzione di Mario Coppola, giovane architetto, designer e artista napoletano oggi docente di composizione architettonica e fondatore di Ecosistema Design , comincia invece quando decide di invertire il trend di “ fuga dei cervelli” e dopo aver lavorato a Londra nel prestigioso studio di Zaha Hadid , torna nella sua amata Napoli, dove prosegue il suo impegno di ricerca sulla fusione tra natura, design e architettura .
Da sempre appassionato di ecologia, declina il suo ideale di simbiosi tra uomo e biosfera ispirandosi alle forme e al cinematismo della natura e del corpo umano. Proprio dalla riflessione sull’indissolubile appartenenza all’essere umano al mondo naturale e sulla matrice che accomuna tutti gli elementi del cosmo, scaturisce l’attività artistica di Coppola, autore di un ciclo di sculture bioplastiche raccolte col nome di Cosmogonie presentate alla sua prima mostra personale ospitata dalla Fondazione Plart. Un percorso tra sculture di grande formato che, come riporta il quotidiano Il Mattino, raccontano il composito universo che può scaturire dall’incontro tra l’uomo, la natura e la macchina.
Clarissa Di Stora Gargano