Potrebbe essere interessante, in questi ultimi giorni di agosto, spendere qualche parola a favore del rapporto tra arte e cucina?
Noi crediamo di sì, e per due ragioni, principalmente.
La prima è che, dedicare qualche minuto a leggere un articolo che tratti di argomenti leggeri, freschi e assolutamente non noiosi (almeno lo speriamo, un articolo su arte e cucina non dovrebbe essere pesante!), può aiutare a combattere la noia di quei pensieri che ci rimandano, inevitabilmente, alla routine lavorativa ormai prossima.
La seconda ragione è che, di questi tempi, grazie a programmi tv dedicati, libri, giornali e riviste di settore, non è più molto possibile eludere la questione del rapporto tra arte e cucina.
Sorvolando sulla prima ragione, che se ne parlassimo troppo otterremmo esattamente l’effetto contrario a quello che ci eravamo da principio proposti, la seconda è senz’altro la più interessante.
Se è vero che l’insistenza con la quale vengono costantemente proposti programmi dedicati al cibo sfiora il noioso, è forse maggiormente vero che, immersi in questa situazione, potremmo correre il rischio di sottovalutare un tema (quello del rapporto tra arte e cucina) che è invece meritevole di attenzione.
Per prima cosa dovremmo quindi capire…
che cosa sono l’arte e la cucina…
Cerchiamo, dunque, senza la pretesa di essere né esaustivi né, tantomeno fonte di verità assolute, di mettere a fuoco il nucleo del problema.
L’arte è, pur nella diversa accezione/definizione che ha subito nel corso dei secoli, quel prodotto più intimo e intrinsecamente ideale della creazione umana che, per manifestarsi, deve servirsi di un supporto materiale e, per essere recepito, necessita, per forza di cose, di un ricevente/fruitore dotato di sensi e di interiorità simili a quelli dell’artista. Scopo principale dell’arte: generare uno stato emotivo che induca al piacere estetico.
La cucina, dal canto suo, potremmo definirla come un processo grazie al quale tutta una serie di primizie, edibili, ma anche non edibili, vengono rese maggiormente appetibili per il nostro palato e, soprattutto, più assimilabili per il nostro organismo.
Da come la abbiamo descritta, la cucina sembrerebbe apparire maggiormente come una tecnica, trasmessa per il tramite di un apprendimento costante di gesti, piuttosto che come un’arte.
Ma la tecnica non può anch’essa essere classificabile come arte?
Certo che lo può, ma, e qui si concentra il punto focale della questione, dipende dall’oggetto nel quale individua il proprio fine.
Se il fine è l’utile materiale, allora è semplicemente tecnica; ma se lo scopo è l’elicitazione dei sensi, finalizzata al piacere contemplativo, non possiamo che essere in presenza di una forma artistica.
Per quanto riguarda il rapporto tra arte e cucina, possiamo spiegare la questione in parole molto semplici: se, magari dopo un allenamento, siamo affamati e mangiamo un pezzo di pane spalmato con il miele, non possiamo che riferirci alla preparazione del nostro improvvisato pasto come a una tecnica unicamente utilitaristica; quando, invece, un piatto preparato ad arte da chi sa il fatto suo è in grado di regalarci emozioni e divagazioni immaginifiche forti, troveremmo qualche difficoltà a non definirlo un’opera d’arte.
Dopo essere giunti alla conclusione che la cucina può sfornare vere e proprie opere d’arte, che interessano soprattutto l’olfatto e il gusto, prima che la vista o il tatto, sembra ora doveroso nominare alcuni chef che, del rapporto tra arte e cucina, hanno fatto la propria ragione di vita.
Marco Perez
Nato a Vipiteno nel 1969 da padre napoletano e madre altoatesina, Marco Perez inizia giovanissimo a lavorare presso l’attività paterna: una pizzeria-ristorante di vocazione puramente napoletana che, in quegli anni, rappresentava l’unica bandiera partenopea svettante tra le Alpi del Trentino-Alto Adige.
In seguito a un incontro casuale con Gualtiero Marchesi, fermatosi a mangiare presso il ristorante della famiglia Perez, Marco inizia un percorso di superamento, ma mai di abbandono, della propria personalissima tradizione: una tradizione che è duplice poiché raccoglie le istanze partenopee e altoatesine, fondendole in una cucina che mostra al massimo grado il rapporto tra arte e cucina.
Come infatti ebbe a dire in un’intervista a Reporter Gourmet:
«…vedevo mamma fare lo strudel di mele e mi veniva da chiederle perché non potevamo farne uno di pesce. Così ora cerco di raccontare quella che è stata la mia tradizione, una combinazione tra mare, bosco, montagna e natura, la quale secondo me è il filo conduttore, cercando con gli ingredienti di restare in Italia. Perché questo nostro paese dal Brennero a Catania ha un patrimonio gastronomico immenso che non avrebbe quasi senso introdurre altre contaminazioni»
Colognese, Marco. “Natura, ragione, istinto: la cucina di Marco Perez al ristorante Amistà 33, tra arte e design”. Reporter Gourmet. 30 giugno, 2018. 25 agosto, 2018.
Enrico Crippa
Nato a Carate Brianza nel 1971, Enrico Crippa, grazie alla collaborazione con importantissimi chef di fama internazionale, inizia fin da subito un percorso, anche se in principio dallo stesso inavvertito, che lo pone alla ricerca di una relazione stabile tra arte e cucina.
Dopo aver trascorso tre anni presso il ristorante di Gualtiero Marchesi a Kobe, in Giappone, Enrico Crippa, grazie alla famiglia Ceretto, inizia a comprendere che, forse, tra arte e cucina vi è qualcosa di più che non un semplice rapporto occasionale.
Nel 2005, infatti, presso Cuneo, Crippa riuscì ad aprire il proprio ristorante Piazza Duomo, un luogo amato e apprezzato in cui il rapporto tra arte e cucina è gustato a ogni portata.
La cucina è qualcosa di più che una semplice cottura di pietanze, è una riflessione. Come infatti scrive lo stesso chef Crippa:
«…assieme al sapore ho bisogno di concretizzare la sua presentazione e per questo ogni volta in cui immagino un piatto prendo un foglio di carta e abbozzo uno schizzo. Sono ancora legato al principio di Gualtiero Marchesi per cui “il bello è il buono” e ogni mio piatto raccoglie la mia idea di bellezza. La percezione visiva, assieme al profumo che penetra nel naso e alle proprietà organolettiche che captano le nostre papille gustative, dev’essere coerente con l’idea di piatto, deve trasmettere l’emozione che vorrei evocare.
Che io sia un cuoco o un artista in fondo poco importa: finché riuscirò a provocare emozioni facendo riaffiorare sapori e ricordi, potrò considerare la mia missione compiuta.»
Crippa, Enrico. “Enrico Crippa. La cucina come forma d’arte”. Artribune. 25 febbraio, 2015. 25 agosto, 2018.
Nel corso di questo articolo abbiamo tentato di mostrare che il rapporto tra arte e cucina è reale, esiste davvero e che non è il frutto di una semplice banalizzazione, come in principio saremmo portati a pensare.
Se il fine dell’arte è quello di suscitare forti emozioni, provocarci, in altre parole, un potente moto interiore, mentre quello della cucina è venire incontro al nostro naturale desiderio di sfamarci, allora non potremmo che accogliere positivamente il connubio tra arte e cucina; perché se i nostri antenati greci sostenevano che il bello è buono, noi, oggi, dall’alto della nostra saggezza, aggiungeremmo che il bello è buono…soprattutto quando è da mangiare!
Buon appetito Habitanti.
Simone Fergnani