Oggi, la redazione di Habitante ha incontrato la psicologa e psicoterapeuta Antonella Zoppi, per conoscere gli effetti psicologici a lungo termine, causati dalla pandemia di COVID-19.
L’emergenza sanitaria ha comportato una vera e propria rivoluzione di ciò che era la nostra quotidianità: dal lavoro, alla scuola, alla vita sociale.
La tutela della salute mentale è un tema sempre più dibattuto, in particolare adesso, dopo due anni di pandemia. Abbiamo visto sempre più persone rivolgersi a professionisti per superare i momenti di solitudine dovuti ai ripetuti lockdown. Dottoressa Zoppi, ci racconti quale tipo di approccio ha avuto con queste problematiche e come si è mossa per affrontarle con i suoi pazienti?
La pandemia da Covid-19 ha rappresentato un evento straordinario che ha rotto l’equilibrio preesistente di ciascuno ed ha costretto a ridefinire un nuovo stile di vita che tenesse conto dell’emergenza in atto. Le persone hanno preso contatto con molte emozioni quali il senso di impotenza, la solitudine, la paura, l’incertezza per il futuro. La cui gestione è dipesa dalle caratteristiche individuali, dal contesto e dalla personale storia di vita. Certamente, il benessere mentale è stato messo a dura prova: alcuni sono riusciti a reagire allo stress con resilienza, altri hanno visto amplificato un disagio preesistente, in altri ancora l’esperienza pandemica ha assunto una connotazione traumatica cui hanno fatto seguito reazioni psichiche di varia natura ed entità.
Per questi motivi negli ultimi due anni sono aumentate le richieste di intervento psicologico rivolte ai professionisti della salute mentale che, attraverso l’ascolto ed il ricorso ad interventi specifici della professione, si sono occupati di aiutare le persone a fronteggiare in modo adattivo lo stress. E a conferire un significato al disagio sperimentato.
Immagino abbia avuto a che fare con diversi tipi di pazienti durante lo scoppio del COVID-19, ma, parlando di giovani. Quella categoria che, a mio parere, ha risentito molto dalla chiusura delle scuole, al blocco della vita sociale, ecc. Si sono chiusi totalmente in loro stessi o ha ricevuto molte richieste d’aiuto da parte loro?
Per i bambini e per i giovani il periodo del lockdown e quello immediatamente successivo hanno costituito un tempo “sospeso”: l’improvvisa permanenza a casa e le successive restrizioni, hanno messo in crisi le routine quotidiane, le abitudini di vita, le possibilità di gioco e di socializzazione.
I riti di passaggio verso l’età adulta, così importanti per gli adolescenti, hanno dovuto fare i conti con i limiti di movimento e di contatto imposti dalla pandemia. Le caratteristiche individuali di ciascun giovane hanno certamente influenzato la reazione emotiva all’emergenza da Covid-19, ma altrettanto importante è stato l’atteggiamento osservato nei genitori e negli adulti di riferimento, la cui capacità di fronteggiare lo stress generato dalla pandemia ha avuto una ricaduta significativa sul benessere emotivo dei figli.
Molte indagini hanno evidenziato il forte impatto che la pandemia ha avuto sulla salute mentale di bambini ed adolescenti con un aumento del disagio psichico in età evolutiva.
Proprio i primi giorni di quarantena udivamo le sirene in città, quel suono ancora oggi, incute paura. Le sirene avvisavano i cittadini di rimanere in casa e al sicuro. Lei crede che le modalità utilizzate dalle varie istituzioni siano state troppo allarmistiche e che abbiano quindi, scatenato maggiori ansie? In cosa ha sbagliato la comunicazione istituzionale?
Le istituzioni hanno dovuto fronteggiare un’emergenza sanitaria imprevista e di portata straordinaria. Con le informazioni disponibili in quella fase della pandemia a mio parere hanno adottato le misure atte a garantire il maggior grado di sicurezza possibile. A contrasto di un virus che purtroppo si è rivelato letale per un numero molto elevato di persone. Certamente, le caratteristiche individuali, le condizioni di vita e di lavoro di ciascuna persona hanno avuto un impatto significativo nel valutare e reagire a tali misure.
La sindrome di Long Covid ha chiaramente delle conseguenze fisiche, ma si parla anche di conseguenze psicologiche. Come può essere gestita?
L’infezione da COVID-19 ha causato una sofferenza psicologica associata a quella fisica. Tracce di questa sofferenza si riconoscono nella sindrome da Long COVID che spesso si connota per la presenza di sintomi depressivi, disturbi d’ansia, insonnia. In taluni casi si viene a configurare un vero e proprio Disturbo Post Traumatico da Stress. È necessario in questi casi dedicare tempo al recupero del benessere emotivo, facendo ricorso. Se necessario, ad un supporto psicologico per ricevere ascolto, potenziare le risorse personali, ridurre il livello di stress e affrontare la sofferenza emotiva.
Ora, a distanza di due anni, ci troviamo in una situazione più serena rispetto al 2020. Gli effetti della pandemia di COVID-19 sulle nostre menti si sentiranno ancora per tanto tempo? O lei ha notato un leggero miglioramento e meno richieste d’aiuto di questo tipo?
Le reazioni a distanza, così come quelle immediate, non sono generalizzabili, ma legate alle caratteristiche individuali ed al contesto sociale, economico, lavorativo in cui ciascuno di noi ha vissuto durante la pandemia. Certamente, seppur in misura diversa, l’emergenza legata al COVID-19 ha avuto un impatto sulla sfera psichica di ciascuno provocando ferite più o meno profonde che richiederanno tempo per rimarginarsi.
Inoltre, seppur le attuali condizioni ci consentano di condurre una vita pressoché normale, dobbiamo ancora convivere con un margine di incertezza legato ad un futuro che porta con sé delle incognite e che può alimentare un certo grado di allerta.
Certamente il miglioramento della situazione sanitaria ed il conseguente ritorno alla normalità non potrà che avere un effetto benefico sulla salute mentale collettiva.
Cos’è il Long Covid e come gli abitanti affronteranno l’estate 2022
Pillole di curiosità – Io non lo sapevo. E tu?
- Un sondaggio condotto nel 2021 dal Pew Research Center, incentrato sul COVID-19 ha ottenuti i seguenti risultati: la stragrande maggioranza degli americani (89%) ha menzionato almeno un cambiamento negativo nella propria vita. Al contrario, una quota più piccola (sebbene ancora una maggioranza del 73%) ha menzionato almeno un inaspettato rialzo. La maggior parte ha subito questi impatti negativi e riscontri positivi contemporaneamente. Due terzi (67%) degli americani hanno menzionato almeno un cambiamento negativo e almeno un cambiamento positivo dall’inizio della pandemia.
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