Perché l’immagine 3D dell’Australia che brucia non è un Fake?

Australia in fiamme 3D|Australia fuochi incendi FIRMS NASA|Massimo Auci|spettro elettromagnetico

Tratta da un lavoro fotocompositivo, mostra bene la situazione degli incendi in Australia in un arco temporale di un mese. La parola alla scienza.

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Un grafico di Brisbane, Anthony Hearsey, ha pubblicato un’immagine su cui si è discusso molto negli ultimi giorni. La foto è stata condivisa innumerevoli volte spesso senza la didascalia originale che spiegava chiaramente che si tratta di una immagine composita, ottenuta – come spiega  lo stesso autore –  dai dati FIRMS della NASA satellitari relativi agli incendi tra il 05/12/19 e il 05/01/20.  Sono tutte le aree che sono state colpite dagli incendi boschivi in quel periodo.

Per intenderci questa è l’immagine del sito Firms della NASA da cui  sono stati tratti i dati nel periodo tra il 05/12/19 e il 05/01/20 i cui dati sono sovrapponibili all’immagine composita dell’autore.

Australia fuochi incendi FIRMS NASA

Gli incendi in Australia sono monitorati dal satellite Suomi NPP (in collaborazione con il NOAA), che qui  vedete in immagini riprese in tempo reale.

Il problema è che molti lettori (e anche alcune testate giornalistiche) hanno condiviso l’immagine senza specificare che si tratta di una sovrapposizione di più  dati temporali.

Perché dunque l’immagine non può considerarsi un falso, come hanno affermato alcune testate?

Lo abbiamo chiesto a Massimo Auci, professore di fisica e ricercatore. 

“Premesso che è una vera pena – spiega il ricercatore –  vedere la biosfera martoriata in questo modo da continui incendi e non solo in Australia, quest’anno sarà stata la maggiore attenzione che i media hanno usato verso questo genere di fenomeni che producono comunque quantità di CO2 superiori a qualunque produzione industriale, si ha comunque la sensazione che ci sia un disegno preciso e che non siano proprio incendi casuali. A ben vedere questo non è il primo anno di incendi nemmeno in Australia. Potremmo dire che gli incendi ci sono sempre stati, è un continente abituato a bruciare, la stessa vegetazione è biologicamente preparata a sopravvivere al fuoco, linfe molto infiammabili e semi resistenti ad altissime temperature consentono alle zone verdi di bruciare bene per poi riprendersi in tempi brevi eliminando i competitori inopportuni”.

“Ad ogni modo l’aumento delle temperature di quasi due gradi è innegabile, e ciò ha reso più secco il territorio, gli incendi si diffondono più velocemente e sono sempre più difficili da spegnere. Le cause però sono sempre le stesse con le aggravanti che abbiamo appena detto. Fulmini, molti fulmini (quindi cause assolutamente naturali) e incendi anche antropici e soprattutto dolosi si dividono la responsabilità quasi al cinquanta per cento”.

“Il problema è che gli incendi sono sempre più difficili da spegnere ed è bene capire dove e quando si producono”.

“Quindi, se in un mondo a quattro dimensioni – tre spaziali e una temporale –  vogliamo sintetizzare cosa sta accadendo in una sola immagine, cosa possiamo fare se non “integrare l’informazione“, ovvero sommare le differenti informazioni temporali che si riferiscono alla stesse coordinate spaziali. In questo modo otteniamo una immagine che evidenzia in un certo periodo quali e quanta parte del territorio australiano, o di qualunque altro continente è bruciata”.

“Immagini come queste sono un valido strumento di lavoro per qualunque scienziato e non devono essere considerate dei falsi. I fuochi non sono stati aggiunti ad arte, solo sovrapposti in una unica drammatica immagine. Un po’ come lasciare aperto l’obiettivo in una notte stellata per catturare le scie lasciate dai meteoriti al loro passaggio. Non è che i meteoriti passino tutti insieme ma noi vediamo le scie sulla stessa fotografia per capire e contare quante ne passano in un certo intervallo di tempo”.

Perché nella scienza si usano immagini elaborate?

Perché non si può farne a meno. Nella comunicazione e divulgazione scientifica – ci spiega il fisico Massimo Auci –  spesso si fa ricorso a immagini composite, in radiazioni nel non visibile e in falsi colori. Il nostro apparato visivo è limitato alla radiazione visibile e in un arco temporale che non ci  permette di percepire e vedere cose che sono invece molto reali.

Questo – solo per fare un esempio – è lo spettro elettromagnetico delle onde emesse  dal Sole e dalla maggiorparte dei corpi celesti attivi (stelle e oggetti irradianti). Come potete osservare  la “luce visibile” occupa una parte relativamente piccola di questo  spettro, una lunghezza d’onda in un range di poche centinaia di milionesimi di metro. La scienza fa dunque ricorso a particolari strumenti e elaborazioni (ad esempio in falsi colori)  che pemettono di “vedere” anche in quella porzione dello spettro in cui siamo letteralmente ciechi.

spettro elettromagnetico
spettro elettromagnetico

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Ad esempio che aspetto ha secondo voi davvero la galassia di Andromeda? L’immagine che vedete qui sul sito NASA mostra la galassia più vicina alla nostra Via Lattea dopo una lunga esposizione  con una fotocamera digitale che introduce anche normali imperfezioni. L’immagine è stata ottenuta da una sequenza di 223 immagini, ciascuna con un’esposizione di 300 secondi.

Nelle immagini sono presenti tracce luminose di aerei, tracce satellitari lunghe e continue, brevi strisce di raggi cosmici e pixel difettosi. Queste imperfezioni sono state  ridotte con software di fotoritocco come Astro Pixel Processor, DeepSkyStacker e PixInsight. La NASA conferma che tutto questo lavoro è stato fatto non per ingannarci con una elaborazione digitale che ha poco a che fare con la vera somiglianza della galassia di Andromeda, ma per minimizzare gli artefatti terrestri che non hanno nulla a che fare con la galassia lontana e quindi ricreare meglio ciò che M31 potrebbe sembrare se avessimo la stessa acuità visiva ottenuta in 223 immagini riprese in tempi diversi.

Possiamo dire che questa e altre milioni di immagini della NASA siano un FAKE? Assolutamente no.

Perché aumentano gli incendi ?

Doug Morton (capo del laboratorio scienze della biosfera al GSFC della NASA) è uno tra gli scienziati che ha ricordato l’importanza dell’aiuto della tecnologia in queste analisi. Negli ultimi 20 anni i satelliti hanno mostrato una tendenza preoccupante riguardante gli incendi. Secondo Morton i dati mostrano una coerenza con quelli riguardanti il cambiamento climatico (che ha portato a un riscaldamento di alcune zone).

Secondo il dott. Morton e altri ricercatori il cambiamento climatico aiuta dunque ad alimentare gli incendi, naturali e umani.

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Per approfondire:

Il seguente sito web è il sito FIRMS della NASA  con i dati satellitari relativi agli incendi utilizzato dal grafico per rappresentare gli incendi tra il 05/12/19 e il 05/01/20. Sono tutte le aree che sono state colpite dagli incendi boschivi.

Il seguente video della NASA illustra, in un diverso periodo temporale 2003-2018 una rappresentazione grafica dei dati satellitari per l’emissione di anidride carbonica dovuta agli incendi.

La dichiarazione del grafico sulla sua pagina  social.

“This is a 3D visualisation of the fires in Australia. NOT A PHOTO. Think of this as prettier looking graph. This is made from data from NASA’s FIRMS (Satellite data regarding fires) between 05/12/19 – 05/01/20. These are all the areas which have been affected by bushfires. Scale is a little exaggerated due to the render’s glow, but generally true to the info from the NASA website. Also note that NOT all the areas are still burning, and this is a compilation. “

Photo Credit : Anthony Hearsey

Massimo Auci

Massimo Auci è nato a Roma il 24 febbraio 1955. Si è laureato in Fisica Cosmica nell’anno accademico 79-80 all’Università di Torino, dove ha lavorato presso il Dipartimento di Fisica Generale, svolgendo fino al 1995 didattica e ricerca presso i laboratori di astronomia neutrinica del CNR al Monte Bianco e al CERN di Ginevra.

Autore di numerose pubblicazioni scientifiche, di libri di testo, articoli e saggi, è attualmente Science Editor del portale di comunicazione e divulgazione scientifica “Gravità Zero”.

Cofondatore di Odisseo Space, una società no-profit che opera nel settore della formazione in ambito spaziale, è docente di ruolo presso la Scuola Statale Internazionale Europea di Torino di cui è tra i promotori.

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Dello stesso autore:

Cambiamenti climatici: quello che Greta non dice

Pillole di curiosità. Io non lo sapevo e tu?

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