La musica è il mezzo ideale per esprimerci e raggiungere il benessere desiderato. Vediamo perché la musicoterapia ci fa bene con il musicoterapeuta Vincenzo Ricciardelli.
Perché la musicoterapia ci fa bene: musica e comunicazione
L’idea della musica utilizzata a scopi terapeutici sembra così affascinante quanto ovvia. Si parla infatti dell’unione di due elementi che già da soli sono benefici: musica e terapia. Ecco una definizione piuttosto esaustiva del suo significato:
La musicoterapia è l’uso della musica e/o degli elementi musicali (suono, ritmo, melodia e armonia) in un processo atto a facilitare e favorire la comunicazione, la relazione, l’apprendimento, la motricità, l’espressione, l’organizzazione e altri rilevanti obiettivi terapeutici al fine di soddisfare le necessità fisiche, emozionali, mentali, sociali e cognitive. Essa mira a sviluppare le funzioni potenziali e/o residue dell’individuo in modo tale che questi possa meglio realizzare l’integrazione intra e inter personale e di conseguenza migliorare la qualità della vita grazie ad un processo preventivo, riabilitativo o terapeutico.
Perché la musicoterapia ci fa bene: che cos’è esattamente la musicoterapia? In cosa consiste?
La musicoterapia rientra nell’ampia sfera delle terapie non verbali, intese come percorsi di terapia in cui la relazione viene stabilita mediante canali diversi dalla parola, a differenza della psicoterapia ad esempio. Il presupposto alla base è che in questo modo sia più immediata e priva di resistenze la manifestazione dei propri vissuti personali ed emotivi. Comprende un insieme di tecniche e metodologie messe a punto attraverso le ricerche degli ultimi decenni, pur basandosi su intuizioni molto più antiche. Il contributo maggiore arriva dalla psicologia, dall’antropologia e dalla neurologia.
La distinzione principale, e comunque sommaria, è tra musicoterapia attiva, orientata alla comunicazione e alla relazione, e musicoterapia recettiva, basata sull’idea che il suono, nella sua componente fisica e soprattutto evocativa, possa essere di per sé terapeutico e risolutivo. Nel primo modello di intervento confluiscono approcci con orientamenti differenti, come quello psicodinamico, analitico, o cognitivista, ognuno con procedure, obiettivi e campi di applicazione differenti. Ciò che accomuna i diversi approcci è l’accoglienza dell’altro, con la costruzione di percorsi e setting calibrati e individuali, dove l’altro può esprimersi, comunicare e sentirsi compreso. Tutto questo comprende non solo la musica o il suono, ma ci apre all’intera gamma di possibilità espressive. È chiaro inoltre che non si risolve nel semplice ascolto di musica o di suoni, o del loro uso in contesti differenti, ma implica una dimensione più profonda e relazionale costruita su determinati codici.
Perché la musicoterapia ci fa bene: come ci si approccia a questa disciplina? A chi è indirizzata?
Le rispondo con un’altra domanda: c’è qualcuno che non sia in grado di esprimersi e comunicare tramite il suono, il corpo o addirittura attraverso i silenzi?
Questa possibilità ci permette di attuarla in molti contesti. Immediatamente viene associata agli ambiti della riabilitazione, per il maggior interesse che hanno raccolto nella comunità scientifica. La possibilità di creare un contatto e stabilire una comunicazione anche in presenza di difficoltà e di limiti, come ad esempio la mancanza del linguaggio, permette alla musicoterapia di creare percorsi specifici per migliorare le capacità comunicative, relazionali, le abilità cognitive e motorie di soggetti svantaggiati.
Ci sono importanti riscontri anche nel lavoro con stati di demenza, con l’Alzheimer, persino con soggetti in coma. Si pensa alla terapia come qualcosa a cui ricorrere solo in presenza di problematiche evidenti, accostandola, quindi, all’idea di “cura”, ma al contrario può rappresentare un’opportunità di crescita per chiunque.
In particolare, la musicoterapia ottiene dei risultati e delle risposte importanti in ambito preventivo, come nel lavoro con adolescenti o soggetti a rischio, in ambito psichiatrico, così come nella promozione del benessere psico-fisico generale, da percorsi per adulti all’ambito perinatale. La trasversalità di questo approccio ci permette di lavorare sull’intelligenza emotiva, sulle capacità relazionali, su percorsi introspettivi.
Perché la musicoterapia ci fa bene: possiamo definirla un’arteterapia? In che modo ci aiuta a comunicare?
Rientra ampiamente nelle artiterapie. Una seduta di musicoterapia non è fatta solo di musica o di suoni, che anzi in alcuni casi rappresentano solo una minima parte: è fatta di corporeità, di movimento, di gesti, di vocalità, di colore, e qualunque modalità permetta all’altro di esprimersi e di strutturare di una relazione. In altre parole, se c’è un particolare oggetto, o una modalità, come il disegno ad esempio, che può essere funzionale alla relazione e agli obiettivi terapeutici, può diventare parte integrante del percorso.
Non consideriamo l’arte nei suoi termini estetici o performativi, ma in una finalità puramente espressiva, libera da giudizi o aspettative. È intuibile come ciò possa facilitare l’espressione di sé e quindi portare ad una maggiore consapevolezza. Attraverso le parole è semplice mentire, nascondersi, ed è semplice anche confondersi, ma un gesto, un suono, un tratto, sono la manifestazione chiara ed inequivocabile di un preciso stato o vissuto interiore. Proprio per la sua natura irrazionale, la terapia non-verbale porta alla luce delle dinamiche di cui non siamo consapevoli, inconsce, regressive, che possono essere così elaborate.
Oltre alla comunicazione c’è la possibilità di finalizzare un’attività di musicoterapia ad altre competenze. Vengono valutati e sviluppati tempi di risposta e di attenzione, capacità mnemoniche e cognitive, grazie alla capacità del suono e degli strumenti di rendere tutto più semplice, più attraente e coinvolgente. Sicuramente sono delle pratiche terapeutiche di per sé, anche volendo considerare semplicemente il benessere che può dare il suonare uno strumento o il suonare insieme. La differenza sostanziale è rappresentata da un contesto fatto di obiettivi terapeutici a breve e lungo termine, di valutazioni, e di una guida constante da parte di un terapeuta esperto.
Perché la musicoterapia ci fa bene: quale percorso formativo deve avere un musicoterapeuta?
Diciamo che, al di là di competenze teoriche, psicologiche, o artistiche, la parte fondamentale di una formazione è una continua analisi su sé stessi, strettamente in contesti di musicoterapia, tramite supervisioni e percorsi personali.
La differenza tra un musicoterapeuta formato e un operatore che si dedica alla musicoterapia o utilizza la musica in terapia, è proprio nella differente capacità di leggere, tollerare e utilizzare il contesto non verbale.
Un assioma su cui si basa la psicologia è che per conoscere l’altro, occorre prima conoscere sé stessi, soprattutto le parti di cui non raccontiamo nemmeno a noi stessi (e sono sempre più di quante pensiamo). È fondamentale avere coscienza di sé e oggettività, per potersi assumere anche la responsabilità, professionale ed etica, che una relazione di terapia comporta.
Perché la musicoterapia ci fa bene: se una persona decide di fare musicoterapia, seguirà un percorso o svolgerà singole sedute?
Dipende. Se si ricerca un momento di benessere, per fronteggiare un momento di crisi o semplicemente di stress, allora una sola seduta, o più sedute estemporanee, possono risultare efficaci. Se ci si pone obiettivi a lungo termine, di trasformazione e duraturi, oppure in un contesto clinico, allora è necessario un percorso in cui ci sia il tempo di costruire, analizzare e affrontare ogni dinamica in modo approfondito.
Perché la musicoterapia ci fa bene: immagino che, come per tutti, ci siano difficoltà in questo periodo. Come si risolvono?
La distanza a cui ha costretto questo avvenimento, ha richiesto a molte categorie di ripensare e rinegoziare anche i principi più basilari della loro attività. Come accade sempre di fronte a un limite si stanno sviluppando nuove risorse, come le terapie a distanza che permettono di avere una continuità relazionale.
Mentre le terapie verbali, seppure con limiti e resistenze, possono adeguarsi facilmente, per la musicoterapia il discorso è più complesso e richiede un impegno maggiore. La ricerca continua anche in questo senso e credo che, avendo sempre presenti i propri obiettivi, valutando con consapevolezza le proprie scelte e le casistiche, sia possibile costruire dei percorsi di terapia o di sostegno. Sicuramente speriamo tutti di tornare a una sorta di normalità, con un’esperienza e una capacità in più.
Perché la musicoterapia ci fa bene: si parla sempre di più di musicoterapia, com’è la situazione in Italia?
In Italia fatica a essere ufficialmente riconosciuta. Fortunatamente questa consapevolezza si sta evolvendo negli ultimi anni, ma siamo ancora indietro rispetto ad altri paesi europei; c’è ancora poca conoscenza e molta confusione.
Anche in Italia la musicoterapia e le terapie non verbali stanno acquistando uno spazio maggiore, sia nelle equipe sanitarie che nella comunità scientifica.
Grazie a Vincenzo Ricciardelli
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Pillole di curiosità. Io non lo sapevo e tu?
- L’etnomusicologia è intesa come lo studio degli strumenti e del loro uso in epoche preesistenti rispetto a quelle nostre; ciò porta alla scelta di strumenti di natura etnica che abbiano dei riflessi psicodinamici, come ad esempio le differenze tra gli strumenti con pelle sintetica e pelle animale nel contatto tattile o nella capacità di vibrare e i loro risvolti psicodinamici.
- La psicoacustica e la biologia della musica sono ulteriori campi di competenza che il musicoterapeuta deve avere oltre alle semplici competenze musicali, alla teoria musicale e alla pratica strumentale, che sono la base del suo lavoro.
Credits immagine in evidenza: www.unsplash.com
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