Sembra un episodio di Black Mirror, ma è accaduto realmente
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In Corea del Sud l’emittente televisiva Munhwa Broadcasting, in un commuovente documentario dal titolo “I met you“ (Ti ho incontrata), ha fatto in modo che una mamma potesse riabbracciare, anche solo virtualmente, la sua bambina ormai defunta.
Se siete degli appassionati della serie di Netflix Black Mirror, sicuramente vi sarete imbattuti in puntate come Be right back. L’episodio, trasmesso nel 2013, racconta la storia di una donna che non accetta la morte del fidanzato e acquista una sofisticata tecnologia appena messa sul mercato per ottenere un “clone” che avesse le stesse fattezze e comportamenti. Tuttavia nulla va come previsto violando ogni aspettativa. Ma di questo parleremo più avanti.
Quello che ha fatto l’emittente televisiva Munhwa Broadcasting in Corea del Sud è qualcosa di attualmente già possibile con le tecnologie in commercio, come Oculus.
Jang, la donna protagonista del documentario di questa emittente, nel 2016 ha vissuto il dolore più grande che una madre possa provare: la perdita di una figlia.
Ad appena 7 anni Naeyon è stata strappata dall’affetto dei suoi genitori a causa di un male incurabile. Ma grazie alle nuove tecnologie di realtà virtuale immersiva la madre Jang ha potuto rincontrare la figlia in un ambiente completamente digitale, trascorrendo un’intera giornata con lei.
Durante le riprese del documentario erano presenti anche il marito di Jang e gli altri figli, i fratelli di Naeyon. La donna ha trascorso un’intera giornata in compagnia di sua figlia. Hanno parlato, giocato, scherzato e spento le candeline del suo ottavo compleanno, un traguardo che nella vita vera la bimba non aveva fatto in tempo a raggiungere.
Tutto quando immersi in un ambiente digitale ricreato per l’occasione.
Al termine, la bambina ha donato un fiore a sua mamma e si e addormentata, trasformandosi in una lucente farfalla, che è volata via.
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“Ho vissuto un momento felice, il sogno che ho sempre voluto vivere”, ha spiegato ai giornalisti la madre, che nel video non ha trattenuto l’emozione di aver potuto “rivedere” la figlia.
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Un esperimento pericoloso per la psiche
Tuttava l’esperimento ha lasciato perplessi psicologi e medici. Il metodo utilizzato in Corea del Sud potrebbe infatti avere conseguenze negative molto serie sulla psiche dei soggetti: l’elaborazione del lutto è un processo complicato e delicato.
Nel processo di riorganizzazione – secondo uno dei modelli cognitivi più celebri, quello di Elisabeth Kübler-Ross – il paziente deve poter arrivare ad accettare la definitività della perdita e ammettere la necessità di riorganizzare la propria vita nella consapevolezza del non ritorno del defunto. Per poter raggiungere questo ultimo stadio di elaborazione la persona che ha subito il lutto deve essere riuscita a gestire le dolorose e intense emozioni che la perdita comporta.
L’esperienza in realtà virtuale sarebbe dunque un modo per allontanare la presa di coscienza della tragedia, e per questo occorre chiedersi: quanto può aiutare l’elaborazione del lutto? E quanto invece finisce per ostacolarla?
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Pillole di curiosità. Io non lo sapevo e tu?
- Tra i primi a parlare di Realtà Virtuale ci fu Morton Heilig, che già nella metà del secolo scorso, inventò il “cinema esperienza” (Experience Theater) che poteva coinvolgere tutti i sensi in maniera realistica, immergendo lo spettatore nell’azione che si svolgeva sullo schermo. Costruì un prototipo della sua visione, chiamato Sensorama, nel 1962, insieme a cinque film che questo apparecchio proiettava e che coinvolgevano molti sensi (vista, udito, olfatto, tatto).
- Nel 1968 Ivan Sutherland, con l’aiuto del suo studente Bob Sproull, creò quello che è considerato il primo sistema di realtà virtuale con visore.
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