La sedia, da elemento d’arredo a oggetto d’arte. Intervista a Giovanni Trimani, pittore e scultore

Giovanni Trimani|Giovanni Trimani|opere di Giovanni Trimani

Design e arte sono due mondi che si contaminano e alimentano a vicenda. La sedia non è solamente un oggetto di design ma spesso anche un soggetto di creazioni artistiche. Habitante ne ha parlato con Giovanni Trimani, pittore e scultore di Roma.

Giovanni, da alcuni anni la sedia è oggetto dei tuoi lavori artistici. Come nasce questa idea?

“Nel settembre del 2016 ho scritto una poesia che parlava di una sedia, era il 24 settembre. Pochi giorni dopo mi ha chiamato la mia curatrice, la Dott.ssa Francesca Bogliolo, che in un mio catalogo del 2015 aveva letto una breve poesia (che però io in quel momento non ricordavo) sul tema della sedia: Su quella sedia ho lasciato il cuore, su quella sedia ho lasciato la mia gioventù, su quella sedia ho lasciato il futuro, su quella sedia ho scritto una fine, su quella sedia ho letto un Amore.”
Immediatamente mi ha proposto di fare una mostra sulla sedia; le confesso quindi che stavo pensando anche io la stessa cosa da qualche giorno.

Il progetto nasce quindi dall’incontro fortuito di pensieri ed idee che viaggiano nel “meta universo”. Descritta così, la nascita del progetto AssediA assume un valore quasi mistico. Non voglio però dare connotati troppo aulici alla genesi. Ma, se due persone hanno la stessa idea a 700 km di distanza forse qualcosa di buono c’è.

AssediA è un progetto nato dalla convergenza e dalla ispirazione limbica di due persone. Il nome del progetto è della Dott.ssa Bogliolo che in visita nel mio studio, immersa tra quadri di sedie e sculture ha esclamato: “Mi sento assediata!”, il passo è stato breve: Progetto AssediA.

Assediare, Obsidere in latino, ha tra i suoi significati: stare fermo, stare seduto davanti. La sedia nel mio progetto ha, tra le sue declinazioni, quella di trovare il proprio posto, la propria posizione dove stare seduto, dove fermarsi.”

Roma, 24 settembre 2016

“Ci sei ancora”

C’è una sedia,
c’è una stanza,
le stanze sono luoghi chiusi,
sono attese circondate,
sono urla che premono per essere libere,
io ero solo per caso,
mi hai amato ogni volta
mi hai voluto l’ultima volta,
le carezze ruvide mi mancano,
liberami dalle promesse,
liberami per amarti,
vedo la piccola sedia,
la maledico oggi,
mi pesa averla presa,
ora dormo di un sonno osceno,
ora dormo di un sogno nero,
chiudo gli occhi,
le lacrime mi schiacciano,
mea culpa per non averti capito,
mea culpa per non averti baciato,
sono perso come un soffio
mi manchi come il respiro,
mi manchi perchè ti respingo,
sento il tuo rantolo,
sta per finire
sta per dirmi “ti amo”
mi hai dato la pietra preziosa,
brucia come la lava,
brucia come il sole,
mi scioglie la mente,
ti prego liberami dalla catena,
ti prego liberami dalla morsa,
sono stanco come un reduce
voglio dormire la pace della fine,
voglio dormire il sonno della vittoria,
mi manchi,
mi mancherai sempre.

ViaggioOnirico_GiovanniTrimani
Viaggio Onirico – scultura di Giovanni Trimani – foto per gentile concessione di Giovanni Trimani

Dal tuo progetto Assedia al più recente Chair-man. La sedia secondo te è un oggetto antropologico o elemento di design?

“La sedia nella mia visione è una macchina metafisica ibrida, una chimera di oggetto e soggetto non come due entità separate, ma come l’uno compenetrato nell’altro. Dal 2018 ho inserito la sagoma del Chair/Man per ampliare l’orizzonte iconico di questo rapporto omologico. La sedia per me non è un elemento di design, ma è parte del soggetto che la rappresenta. Nelle mie composizioni la sedia è spesso deformata, in movimento come il nostro spirito. Cerco di cogliere in molte opere il momento prima dell’arrivo, ragione per la quale sembra che il Chair/Man rincorra la sedia. Mi interessa infatti analizzare il nostro rapporto con il mondo, con la realtà nella quale siamo calati. Noi siamo in cerca della nostra posizione, della nostra identità. Non cerco di dare risposte, ma porre sempre la domanda: chi sei nel luogo dove sei?

Il luogo nella mia ricerca non è solo fisico, ma è soprattutto interiore. Nelle mie sedie si aprono spesso delle stanze, delle camere dell’anima, le stanze segrete, la nostra stanza, il nostro rifugio più intimo nel quale siamo noi senza alibi, senza giustificazioni. È quel segreto nascondiglio delle nostre verità, il nostro camerino dove possiamo togliere la nostra maschera e guardarci senza dover recitare il nostro personaggio, il solo luogo dove possiamo dire il nostro nome e dove esso ritrova la sua dimensione identitaria.

La sedia è sicuramente una macchina scenica che mi permette di stabilire un ponte, un collegamento con lo spettatore.”

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“CHAIR / MAN : NOW.HERE ME #42”, acrilico su tela cm 30×58 – Giovanni Trimani, anno 2019 – foto per gentile concessione di Giovanni Trimani

Qual è quindi il rapporto con il design?

“Ognuno di noi ha avuto una sua sedia, un suo posto, a scuola, a casa, a lavoro. La sedia è personale.

In tal senso ha un connotato molto forte anche nel design. La sedia come oggi la concepiamo è un oggetto relativamente recente, oggi la accettiamo con spensierata indifferenza. Non è sempre stato così, le case primitive avevano sedute condivise, panche o gradini intorno al focolaio. Nella cultura orientale è un oggetto non sempre presente.
Si può dire in modo generale che la sedia è un prodotto profondamente occidentale e diffuso dalla prima rivoluzione industriale. La sedia è figlia dell’individualismo, disegna infatti intorno ad essa un suo spazio immateriale che porta il soggetto ad avere intorno ad un tavolo una sua specifica collocazione.

Rosa Parks è riuscita, con il solo gesto di prendere posto su una sedia e definire il suo spazio, a rivoluzionare l’America degli anni cinquanta. Non ha ceduto la seduta riservata ai bianchi ed ha urlato il diritto degli afroamericani di esistere ed avere gli stessi diritti dei bianchi.

Più recentemente per cancellare la presenza fisica, politica ed umana del Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il presidente turco Erdoğan gli ha negato una sedia.

Un oggetto semplice, ma con molte sfaccettature. Il mio progetto usa la sedia per iniziare una riflessione sul senso di essere uomini oggi: l’identità, la presenza, il luogo. Sicuramente uso l’oggetto come un deus ex machina del mio teatro onirico, sperando sempre che le mie opere pongano domande, riflessioni, dubbi, fascinazioni, non ho mai pensato di voler “stabilire” un percorso emozionale e razionale nel mio lavoro.

Non ho una soluzione, cerco di dialogare con quanti guardano i miei quadri e le mie sculture.”

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Uno dei pilastri di Habitante è la sostenibilità. È possibile parlare di sostenibilità nell’arte contemporanea?

“Bisogna parlare di sostenibilità nel mondo dell’arte, nel mio caso il settore delle arti visive. Oggi l’arte è chiamata non a sottolineare i problemi del mondo, ma ad analizzare la propria condotta ambientale. Da qualche anno soprattutto nel modo anglosassone e nel nord Europa si è iniziato a riflettere sull’impatto dell’art system sul clima.
Quanto incidono in termini di impronta ambientale le fiere internazionali, le grandi mostre nelle capitali e non ultimo la digitalizzazione della comunicazione e produzione dell’arte? Quanto inquinano le nuove piattaforme con contenuti in alta definizione? Le milioni di ore di conferenze online che sono state prodotte in questi 12 mesi?
Nell’ultimo anno soprattutto la digitalizzazione è cresciuta in modo esponenziale, nell’arte ha avuto un’accelerazione incredibile.

L’ultima moda della crypto art con i famigerati NFT Non Fungible Token, un universo di non recente creazione (se ne parla dal 2015/2016) ha uno sviluppo esponenziale. Secondo uno studio condotto da MemoAkten  emerge che un NFT pesa per circa 200 kg CO2, paragonabile al consumo medio di elettricità di una persona per un mese.

La digitalizzazione dell’arte, NFT a parte, è sicuramente una necessità di questo periodo a causa del blocco degli spostamenti e l’impossibilità di organizzare fiere e mostre, ma il suo lato oscuro è la vorace fame di energia elettrica per supportare le reti server, i pc, i tablet ed i telefoni e tutta la componentistica ad essi legata. Nell’ultimo anno la spinta è stata non paragonabile ad altri momenti storici, c’è però da dire che il Covid ha accelerato un processo che comunque si sarebbe naturalmente innescato.
L’aspetto più stupefacente è il ritmo ed il volume in un lasso di tempo molto breve. Ora è responsabilità di tutti i player di misurarsi con questi aspetti.”

Riusciremo a veicolare la crescita dell’arte verso pratiche virtuose?

“Non lo so, purtroppo i fenomeni che si sono innescati sono molto rapidi e con interessi economici fortissimi.

L’ipocrisia è dietro l’angolo, dopo anni passati a denunciare la bad practice di altri settori, oggi il mondo dell’arte deve denunciare se stesso. Il mio timore è che tutto si risolva con  i poco inutili desclaimer sul peso energetico di un’asta online messo in fondo al catalogo digitale per coccolare il rimorso o nelle promesse di abbattimento programmate da oggi al 2050. Le soluzioni non sono per nulla facili.”

Sedia - Giovanni Trimani
“CHAIR / MAN : CHAIR IN THE AIR #88” – acrilico su tela, cm 89×150 – Giovanni Trimani, anno 2019 – foto per gentile concessione di Giovanni Trimani

Le tue opere d’arte sono sostenibili?

“Nel mio piccolo da qualche anno mi sto domandando quanto la mia produzione abbia un impatto sull’ambiente. Ho cominciato lo studio dei colori naturali, dei solventi meno inquinanti, dei protettivi non tossici, ma non è per nulla semplice. Uno degli aspetti più difficili è per un quadro la fragilità di alcune pitture naturali in confronto ai prodotti tradizionali, questo è uno degli aspetti più immediati.
Ci sono tantissime altre considerazioni di non facile soluzione. Posso collegarmi con il mio curatore via zoom per discutere un progetto, ma l’incontro personale ha delle caratteristiche uniche che la telecamera o la telefonata non possono sostituire. Prendo la macchina e faccio 700 km oppure prendo il treno e rilascio xx kg di CO2 oppure mi collego e consumo energia elettrica per altri xy kg di CO2?

Una sfida del mondo dell’arte, ma in generale è la sfida a 360° della nostra quotidianità. Ma è assolutamente necessario che artisti, galleristi, case d’asta, enti fieristici, gestori di piattaforme si facciano con franchezza qualche domanda e inizino a dare qualche risposta. Per una volta è l’arte ad essere sul banco degli imputati.”

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Com’è la scena artistica dell’arte contemporanea in epoca Covid-19?

“Vedo un grande caos. Il Covid ha preso la scatola delle costruzioni e l’ha rovesciata a terra, i pezzi liberi si sono mischiati con le costruzioni meglio definite in un apparente entropica forma. Come in molti settori c’è un rimescolamento degli equilibri consolidati da tanti anni. Le mega fiere non esistono più, si sono fermate bruscamente all’apice del loro sviluppo, un traumatico stop difficilmente recuperabile. L’incertezza degli spostamenti mina infatti l’organizzazione di appuntamenti mondiali.

Le gallerie stanno iniziando a capire che i budget stellari per partecipare in alcuni casi sono più utili per investimenti mirati alla ricerca di clienti con un approccio P2P bypassando la fiera ed andando direttamente dal collezionista con un’offerta profilata sui suoi bisogni. Negli Stati Uniti è una pratica, poco conosciuta, usata in modo intensivo nel 2020 e nel 2021.”

Philippe Daverio
Il critico d’arte Philippe Daverio e l’artista Giovanni Trimani – foto di Studio Merge, per gentile concessione di Giovanni Trimani

E le vendite on line?

“Le sezioni di e-commerce dei siti sono esplose grazie anche al disinvestimento dalle fiere. Non è una panacea, probabilmente si arriverà verso un sistema misto di fisico e virtuale più bilanciato.

La prova che internet non risolve tutto è nel default completo delle online rooms delle fiere maggiori, le vendite sono state fiacche. Paradossalmente però con le fiere online si è rotto il tradizionale riserbo sui prezzi delle opere, questa è cosa buona. Uno degli aspetti più misterici è sempre stato durante le fiere sapere il prezzo stellare di alcune opere d’arte, con fiere online le gallerie sono state costrette a mettere i prezzi in chiaro.

Le case d’asta hanno stravolto i tradizionali calendari trimestrali iniziando ad organizzare battute d’asta quasi mensilmente con lotti incredibili. Tutto questo è stato possibile dalla versione online delle aste e per una disponibilità di opere mai vista in precedenza. Il Covid ha colpito molti collezionisti, alcuni tristemente poiché sono venuti a mancare, altri costretti per fare cassa a vendere. Non si erano mai visti in un anno tanti capolavori all’incanto, ogni settimana c’è un record. Il confine tra grandi gallerie e case d’asta si sta assottigliando con entrambi gli attori che “invadono” il campo dell’altro, le gallerie iniziano a fare aste e gli altri che aumentano le vendite dirette ai clienti.”

Ma il Covid è stato un terremoto che ha colpito solo gli aspetti economici dell’arte?

“Decisamente no, ma ne ho parlato in prima battuta poiché è un elemento importantissimo. Non c’è da fare i moralisti, senza mercato gli artisti non campano.

Gli effetti più complessi della pandemia sono invece quelli legati alla produzione artistica. Tutti settori sono stati sconvolti, il cinema, il teatro e le arti visive. Il più immediato è aver perso il contatto con lo spettatore. L’opera è stata relegata alla sola dimensione digitale, una visione utile se collegata all’esperienza diretta. Non so quante persone possono giudicare un’auto dalla pubblicità e dalle video presentazioni.
Un quadro deve essere visto nello spazio, da lontano, da vicino, possibilmente toccato e va annusato. Ogni opera ha il suo odore, come una persona. Non è possibile vivere una forma di arte se non dal vivo. In questo momento non è possibile ed è giusto usare il web, ma non possiamo illuderci che sia esaustivo. Anche in questo caso il Covid ha fatto affiorare vecchi problemi in modo traumatico.

La crisi dell’arte contemporanea non è iniziata da marzo 2020, purtroppo è un processo in fieri. Lo stop improvviso ha tolto il fumo della giostra e reso evidente le crepe. L’arte post Covid non è diversa da quella pre Covid, è la stessa, ma con un grado di consapevolezza maggiore. Tutti gli artisti si sono resi conto, o lo stanno facendo, che non va tutto bene, che non andava tutto alla grande. L’abbassamento della profondità della ricerca non è un sintomo, è una malattia conclamata e per certi aspetti cronica.”

opere di Giovanni Trimani
Oniriche visioni n 1 e n3 – acrilico su legno cm 365 x 35 x 7 – Giovanni Trimani, anno 2017 – foto per gentile concessione di Giovanni Trimani

Si parla molto di arte pubblica, di condivisione, orizzontalità, di resilienza. Giovanni, qual è il tuo pensiero a proposito?

“Ho paura che poco si sappia del significato delle parole. Non c’è mai stata arte non condivisa, l’arte è sempre pubblica, è un carattere che è insito nel fare arte, non dipende dai like o dalle condivisioni. Stiamo assistendo ad un’arte pubblica sempre più votata ad uno pseudo figurativo, la definirei più illustrativa.
Inseguendo il consenso più ampio possibile l’arte pubblica, la street art, la floor art e tutte le neo declinazioni hanno scelto temi semplici, immediatamente comprensibili consegnandosi ad una pratica descrittiva e illustrativa sul modello della Domenica del Corriere. Purtroppo la stella nel quadrato non entra mai, non serve prenderla a martellate.

Il veleno nel dolcetto è la straordinaria bugia che l’Arte si riduca ad un post condiviso milioni di volte o un jpeg che mi farà comprare la villa al mare.
Mi chiedo: quando abbiamo confuso le persone con i personaggi? Quando abbiamo abbandonato la lettura del nostro presente nell’ottica di una relazione esistenziale tra esseri umani.

L’immagine è un mezzo di espressione, non il fine della nostra esperienza. Mi dispiace, ma non c’è Arte senza la luce interiore di un’anima che si specchia in un’altra. Possiamo usare materiali innovativi, generare contenuti nel cyber spazio, ma se non c’è la poesia, tutto è silente.”

Citando la risposta di Whitman: “Cosa c’è di buono in tutto questo, o me, o vita?  Che tu sei qui – che la vita esiste, e l’identità, Che il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuirvi con un verso”.

“Dov’è oggi quel verso?”

Giovanni Trimani
L’artista Giovanni Trimani – foto di Paolo Gobbi, per gentile concessione di Giovanni Trimani

Pillole di curiosità – Io non lo sapevo. E tu?

  • Secondo l’Associazione Nazionale delle Gallerie di Arte Moderna e Contemporanea, in Italia vi sono circa 500 gallerie d’arte e ci lavorano quasi 10.000 persone.
  • Grazie all’Art Bonus, chi effettua erogazioni liberali in denaro per il sostegno della cultura, come previsto dalla legge, potrà godere di importanti benefici fiscali sotto forma di credito di imposta.

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