Oggigiorno la concezione dell’habitare sostenibile sta diventando sempre più vivida e presente nell’immaginario collettivo, in quanto la gente è fortemente interessata a preservare la propria integrità fisica, scegliendo di vivere in un ambiente del tutto sano.
Il luogo migliore per l’uomo in cui abitare è certamente la propria casa.
È da molto tempo che è radicata in noi la convinzione secondo la quale l’ambiente costruito, la propria casa in primis, costituisca un riparo da tutti gli agenti aggressivi presenti all’esterno.
Grazie a recenti studi, è risaputo difatti che la popolazione trascorre fino al 90% del tempo in ambienti chiusi (U.S. EPA, 1989); da questo dato significativo si è constatata l’insorgenza di una nuova tematica di primario interesse per la salute pubblica: l’inquinamento indoor.
La qualità dell’aria interna (IAQ, Indoor Air Quality) nei paesi maggiormente urbanizzati è di gran lunga più bassa rispetto a quella respirata all’aperto e ciò è dovuto alla presenza di sostanze nocive di natura chimica, fisica e biologica, quali composti organici volatili (Voc), particolato aerodisperso (PM), formaldeide, gas radon, funghi e muffe che possono essere originati da diverse sorgenti (Ministero dell’Ambiente Italiano, 1991).
Tra le fonti di inquinanti più comuni troviamo:
- il fumo di tabacco;
- i processi di combustione;
- i prodotti per la pulizia e la manutenzione della casa;
- gli antiparassitari;
- l’utilizzo di strumenti di lavoro quali stampanti e fotocopiatrici;
- le emissioni dei materiali utilizzati per la costruzione (es. isolamenti contenenti amianto)
- l’arredamento (es. mobili fabbricati con legno truciolato trattati con antiparassitari);
- la mancanza di ventilazione.
Una patologia correlata all’inquinamento indoor è la sindrome dell’edificio malato (SBS, Sick Building Syndrome), che “indica un quadro sintomatologico ben definito, che si manifesta in un elevato numero di occupanti edifici moderni o recentemente rinnovati, dotati di impianti di ventilazione meccanica e di condizionamento d’aria globale (senza immissione di aria fresca dall’esterno) e adibiti a uffici, scuole, ospedali, case per anziani, abitazioni civili”. Pertanto, il problema che prevale da numerose indagini è quello di una ventilazione inadeguata portatrice di composti chimici che sono causa di irritazione o stimolazione dell’apparato sensoriale. Nonostante ci siano molteplici dati sulle alterazioni dei parametri ambientali, questi non sembrano, da soli, poter giustificare l’elevata prevalenza di una sintomatologia così complessa e strettamente legata con la permanenza negli edifici studiati (Ministero della Salute, 2015).
Che fare, dunque, per migliorare l’aria negli ambienti chiusi ed evitare disagi per la salute?
Nel caso di inquinamento indoor, il verde, che oggi è strettamente legato alla città, può venirci in aiuto anche all’interno delle abitazioni. Le piante d’appartamento possono essere utilizzate sia esteticamente per arredare lo spazio, che per purificare l’aria interna e quindi possono diventare validi strumenti naturali per contrastare l’inquinamento indoor. Alcune di loro sono più efficaci di altre nel filtrare le sostanze inquinanti e chimiche presenti nell’aria e a dimostrarlo è stato l’ente spaziale americano (NASA) con un studio nel 1989 dal titolo “Interior Landscape Plants for Indoor Air Pollution Abatement”.
Questo tipo di ricerca ha avuto come fine primo quello di rendere il più puro possibile l’ambiente interno alle stazioni spaziali; lo studio identificò le piante adatte a rimuovere particelle in sospensione di Benzene, Formaldeide, Tricloroetilene, Xilene e Ammoniaca. Per purificare l’aria di una casa da 100 metri quadrati viene suggerito di avere almeno dieci piante che “lavorano” silenziosamente, rendendo l’ambiente interno meno tossico per i suoi inquilini. Alcune delle piante presenti nella lista risultano dannose per animali domestici come gatti e cani, ed è quindi necessario verificare prima le specie adatte agli habitanti della casa.
Eccone alcune delle piante “salva aria” :
– la felce di Boston (Nephrolepis exaltata) che è stata denominata da diversi studi, oltre quello condotto dalla NASA, come “campionessa” nell’assorbire molecole inquinanti di formaldeide e di xylene libere nell’aria;
– l’edera (Hedera helix) è la rampicante per eccellenza che adorna pareti e balconi in città e campagna ed è anche una delle piante migliori della lista con la capacità di catturare formaldeide, tricloroetilene, xylene e benzene;
– il fico beniamino (Ficus benjamin) ha effetti positivi, secondo la NASA, nella pulizia dell’aria da formaldeide e xylene;
– la gerbera (Gerbera jamesonii), oltre ad essere una pianta di bella presenza e colorata, figura nel vademecum NASA come capace di trattenere molecole di fomaldeide, xylene, tricloroetilene;
– il crisantemo (Crisantemo morifolium) è infine il vero campione della lista dell’agenzia americana, unica pianta insieme allo “Spatifillo” (Spathiphyllum) ad essere in grado di catturare tutti e cinque gli agenti chimici presi in considerazione.
Le piante da interno, dunque, non devono essere considerate delle decorazioni vegetali con un ruolo puramente ornamentale, bensì dei veri e propri filtri dell’aria, in grado di portare effetti benefici sulle performance lavorative, contribuendo a ridurre i livelli di stress, e di preservare la salute di chi vive negli ambienti in cui esse si trovano. Pertanto, arredare la propria casa con una felce o un’edera può essere la scelta ottimale per combattere l’inquinamento domestico e vivere in un ambiente più sano e pulito, senza rinunciare all’aspetto estetico.
Emanuela Borsci