È considerato il re dei formaggi, ma anche il più imitato: da parmesan a grana pompeana, la minaccia al Made in Italy è in continuo aumento e la produzione di falsi ha superato l’originale: «un’industria del tarocco che i dazi rischiano di rendere sempre più fiorente e che ha paradossalmente i suoi centri principali nei Paesi avanzati, a partire dagli Stati Uniti al Canada, dall’Australia al Sudamerica» ci conferma Coldiretti.
Ripercorriamo la storia del Parmigiano Reggiano per capire come mai questo prodotto è considerato il Re dei formaggi e purtroppo vanta innumerevoli tentativi di imitazione
Il Parmigiano-Reggiano nasce nel XII secolo, grazie all’iniziativa dei monaci benedettini e cistercensi di Parma e Reggio Emilia. La zona, bonificata, ricca di corsi d’acqua, di pascoli e di mucche, si prestava all’insediamento dei caseifici e in questo modo si è diffusa la produzione di un formaggio a pasta dura e a lunga conservazione. Il sale, elemento essenziale per la lavorazione, si attingeva alle vicine saline di Salsomaggiore. I primi caseifici di cui si ha notizia ufficiale sono quello di Frassinara nel Parmense, dei monaci cistercensi e quello di Gualtirolo nel Reggiano, dei monaci benedettini, citati entrambi a inizio ‘300, in due documenti praticamente contemporanei. Per questo non si ha alcuna certezza se il formaggio sia nato prima a Parma o a Reggio.
Gli ingredienti del formaggio sono sempre rimasti gli stessi
Ancora oggi si fa con latte, caglio e sale. Quanto alle fasi della produzione qualcosa è cambiato, sia per migliorare il prodotto, sia per renderne meno faticosa la lavorazione. È cambiato progressivamente il volume delle forme; si è passati dalle forme alte 8 centimetri del ‘400, fino ad arrivare agli attuali 21 centimetri, mentre il diametro è pressoché lo stesso, circa 45 centimetri. Già nel ‘400 è stata introdotta la fase della scrematura: il latte scremato che affiora viene raccolto per fare il burro, ripulendo così il formaggio e ottenendo un prodotto migliore. Comunque, il formaggio si fa ancora in modo artigianale e per la buona riuscita, molto dipende dall’esperienza del casaro.
Un prodotto tutelato
Da oltre ottant’anni la lavorazione del Parmigiano-Reggiano è rigidamente codificata e tutelata dal Consorzio di tutela del Parmigiano-Reggiano, al quale è affidato il compito di accertare la qualità di ogni singola forma. Il consorzio è formato da tutti i produttori che eleggono un Consiglio di Amministrazione, che a sua volta elegge un Comitato Esecutivo con un Presidente. Il Parmigiano-Reggiano è un prodotto DOP, il che vuol dire che l’intera sua filiera, dalla mungitura delle mucche alla stagionatura, deve avvenire entro i confini della zona di produzione. Un ente indipendente ha il compito di verificare l’adempimento degli obblighi previsti nel disciplinare.
Nel mondo molti lo imitano… male
Il Parmigiano è un formaggio che vanta, si fa per dire, innumerevoli tentativi di imitazione. Il problema delle imitazioni non è di poco conto; se a livello europeo si è arrivati al riconoscimento DOP del formaggio, fuori dall’Europa il termine Parmesan, che comunque non è affatto Parmigiano, è considerato generico e quindi non tutelabile. Ci si affida dunque agli accordi bilaterali, ma spesso non basta. Ultimamente il Consorzio ha però ottenuto una vittoria sul colosso alimentare americano Campbell’s, riuscendo a far togliere dalla pubblicità di una loro salsa, la riproduzione del marchio Parmigiano-Reggiano, che non fa parte degli ingredienti di quel prodotto.
Il Parmigiano-Reggiano e le sue battaglie contro le multinazionali americane
Le zone di produzione
La zona di produzione del Parmigiano-Reggiano comprende le intere provincie di Parma, Reggio Emilia e Modena, oltre alla parte della provincia di Bologna a ovest del fiume Reno e a quella di Mantova a sud del Po. In tutti i caseifici il formaggio viene fatto allo stesso modo, ma la mano dell’uomo e il microclima differente fra le zone collinari, quelle di montagna e la pianura, fanno sì che il Parmigiano-Reggiano sia sempre diverso.
Come viene prodotto il Parmigiano Reggiano
La maggior parte delle fasi si svolge nella camera calda, la stanza in cui si trovano le vasche, dette caldaie, dove riposa il latte arrivato dopo la mungitura pomeridiana del giorno precedente. La prima cosa che il casaro fa è raccogliere da ogni caldaia la parte grassa del latte, affiorata in superficie durante la notte. Questa parte grassa è destinata alla produzione del burro e quindi segue un’altra via. Rimane pertanto in ciascuna caldaia il latte scremato al quale viene aggiunto il latte intero arrivato nel frattempo al caseificio, che è il prodotto della mungitura del mattino, così da avere in ciascuna caldaia metà latte scremato e metà latte intero, come esige il disciplinare. È assolutamente vietato utilizzare qualsiasi tipo di macchinario per la scrematura del latte. In ogni caldaia ci sono circa 1000 litri di latte per fare 100 kg di formaggio. Le caldaie sono fatte di acciaio fuori e di rame dentro, con un’intercapedine in cui passa il vapore che scalda il latte.
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Mentre il latte si riscalda, il casaro lo mescola e interviene con la sua esperienza; deve infatti testare l’acidità del latte, aggiungendo il siero per ottenere più o meno acidità. Il siero non è altro che lo scarto di lavorazione del giorno precedente, rimasto una notte a temperatura ambiente e diventato acido. È latte senza le proteine e viene usato non solo per regolare l’acidità del latte nelle caldaie, ma, insieme all’acqua calda, anche per pulire la camera, evitando l’utilizzo di prodotti chimici.
Quando il latte arriva a una temperatura di 35°, il casaro aggiunge il secondo ingrediente: il caglio. Serve per la coagulazione ed è un enzima che raccoglie tutte le proteine del latte in una crema. Viene prelevato dallo stomaco degli animali da latte al momento della macellazione. È l’unico enzima consentito dal disciplinare ed è lo stesso che usavano i monaci. Una volta prelevato, viene asciugato e mescolato col sale. Un cucchiaio di questo caglio cambia la consistenza di 1000 litri di latte in 10 minuti. La cagliata si spezzetta in piccoli granelli come chicchi di riso, che con la cottura perdono acqua e umidità, diventando pesanti e cadendo sul fondo della caldaia. Si forma quindi una palla di cagliata, di circa 100 chili e dall’aspetto di una grossa mozzarella, che viene divisa in due per ottenere due forme di formaggio.
Nelle fasi successive il formaggio viene lavato in acqua calda per fermarne l’acidità, lasciato riposare e quindi marchiato con apposita fascera, fornita dal Consorzio, dove ci sono tutte le informazioni per ricostruire la storia di ciascuna forma. Da questo momento inizia la stagionatura che può durare fino a cinque anni, ma dopo un anno dalla produzione, c’è il controllo dell’espertizzatore. Questa persona, incaricata dal Consorzio, dovrà sentire la qualità del formaggio. Ovviamente non potrà mangiare un pezzo di ogni forma per sentirne la qualità, quindi il solo modo che ha a disposizione è il suono. Usando un apposito martelletto, ne sente il suono e capisce se il formaggio è buono o meno. Se il suono è lo stesso tutto intorno alla forma significa che il formaggio è perfetto. Nello spazio vuoto della fascia marchiante esiste uno spazio in cui l’espertizzatore metterà il marchio a fuoco del Consorzio di tutela, attestando che il formaggio è di 1.a qualità. Se c’è un suono vuoto in un punto significa che il formaggio ha un problema e ha sviluppato una fermentazione anomala che diventa gas, che rompe il formaggio. Questo diventa quindi un formaggio di 2.a qualità detto ‘mezzano’, che di solito finisce nel grattugiato. Se il formaggio non passa il controllo, vengono cancellate tutte le informazioni sulla crosta e diventa formaggio sbiancato che finisce nel grattugiato generico. Solo dopo la visita dell’espertizzatore il formaggio può essere commercializzato.
Le mucche destinate alla produzione del latte per il Parmigiano-Reggiano, sono allevate in stalle chiuse e quindi non possono pascolare nei campi. Questo perché devono mangiare foraggio secco e non fresco. Il foraggio fresco risulta più difficile da digerire rispetto a quello secco e per questo nella digestione si sviluppano delle fermentazioni, utili per il formaggio fresco, ma non per il Parmigiano, che è a lunga stagionatura. Le fermentazioni tendono infatti a trasformarsi in gas che, se si sviluppassero dentro la forma, romperebbero il formaggio attorno a un anno di stagionatura. Il foraggio locale è il vero legame del formaggio con il territorio; quello che le mucche mangiano, si riflette sul latte e di conseguenza sul formaggio. Le mucche vengono destinate alla produzione dopo il primo parto e utilizzate mediamente per 6-7 anni.
Il Parmigiano-Reggiano viene venduto nelle classiche punte sottovuoto e possiamo trovare in commercio un formaggio variamente stagionato. Il 12 mesi, che è il più giovane, si presenta con un colore giallastro, pasta non molto dura che si può spezzare con le mani e priva di macchie. Già è diverso sia alla vista che al gusto il 24 mesi; è leggermente più chiaro, ha qualche macchiolina bianca e al gusto pizzica leggermente. Inoltre, è più difficile da spezzare e per questo è preferibile usare il classico coltellino triangolare che è anche il simbolo del Parmigiano-Reggiano. Il 36 mesi si distingue soprattutto per il numero maggiore di macchioline bianche che altro non sono che il residuo del lavoro dei batteri buoni; è più duro da spezzare e al gusto pizzica maggiormente. Si può trovare comunque anche in confezioni sottovuoto a scaglie e, come detto, grattugiato, ma solo se sulla confezione reca il marchio ovale del Consorzio è vero Parmigiano-Reggiano DOP. Dal punto di vista gastronomico, il Parmigiano-Reggiano viene impiegato in cucina in vari modi a seconda della sua stagionatura. Si abbina naturalmente con la pasta nella forma grattugiata, ma è ottimo anche come accompagnamento di un aperitivo o come antipasto, spesso con i salumi locali. Ha un buon apporto proteico, di minerali e di vitamine, è completamente privo di additivi ed è ricco di calcio e fosforo.
Pillole di curiosità. Io non lo sapevo e tu?
- Il sito ufficiale del Consorzio è www.parmigianoreggiano.com
- Tra i maggiori produttori di falsi, dichiara Coldiretti, al primo posto si collocano gli Stati Uniti «dove il mercato delle imitazioni dei formaggi italiani ha avuto una crescita esponenziale negli ultimi 30 anni». «In termini quantitativi si producono negli Usa 204 milioni di chili di Parmesan, al secondo posto dopo la mozzarella con 1,89 miliardi di chili».
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