La fase 2 è iniziata ma il coronavirus è ancora ampiamente presente nel nostro paese.
Se da ieri abbiamo detto addio al lockdown entrando nella fase 2, non significa che l’epidemia sia solo un ricordo lontano, anzi. Con le misure allentate, molte persone hanno già approfittato di qualche ora d’aria andando a trovare i parenti.
Resta da chiedersi però cosa succederà in questi giorni e se le misure adottate siano sufficienti. Infatti, tra due settimane sarà possibile fare il primo “punto della situazione” della fase 2. È possibile che il numero di contagi salirà (in particolare intorno al 18 maggio, quando riaprirà la gran parte delle attività) perché milioni di persone tornano ad interagire tra loro, anche solo per andare a lavoro.
Fase 2, una responsabilità per la popolazione
“La speranza è che gli italiani continuino ad uscire con i ‘piedi di piombo’, in una sorta di libertà vigilata che possa consentire di contenere la diffusione del coronavirus. Dobbiamo però prepararci al peggio: nuovi casi possono emergere e questo lo dobbiamo tenere a mente come lo scenario più pesante e negativo che si possa avere. Scenario che può però essere un elemento su cui lavorare, per agire al meglio”. Ad affermarlo all’Adnkronos Salute Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli Studi di Milano. “Occorreranno almeno 2 settimane per fare un bilancio della fase 2 in Italia – spiega – dato che l’incubazione dell’infezione va da 2 a 11 giorni con una media di 5 giorni. Voglio ricordare a tutti i cittadini che se hanno dei sintomi devono contattare il medico di famiglia o la Asl, che devono abbondare piuttosto che lesinare in misure di prevenzione del contagio, auto-isolandosi in attesa di indicazioni e di una diagnosi per tutelare la propria famiglia e la comunità”.
I risultati della fase 2 tra due settimane
In due settimane si potrà avere un quadro completo, ma con una media di incubazione di cinque giorni, anche prima potrebbero arrivare segnali importanti.
“Per avere un primo bilancio dei nuovi casi di Covid-19 che si verificheranno nella ‘fase 2’ dovremmo attendere il tempo di incubazione che è in media di cinque giorni, ma prudenzialmente ne attendiamo almeno 14 – dice sempre ad Adnkronos Giorgio Palù, past president della Società europea di virologia e professore emerito di Microbiologia dell’università di Padova, membro della task force Covid-19 del Veneto. E potremo iniziare a capire cosa è successo con la riapertura parziale dell’Italia, se sarà cambiato il valore di R0, tenendo sempre presente che la percentuale di persone esposte al virus varia da regione a regione, ma si aggira attorno al 90-95%, anche se ad esempio in Lombardia sarà più bassa dato che i focolai sono stati più intensi”.
“L’elemento che bisognerà tenere fortemente in considerazione in questa fase – spiega Palù – sarà la tracciabilità di tutti i contatti dei casi positivi: occorrerà seguire attentamente quello che succede e isolare i contatti primari, ma anche secondari e terziari dei positivi, con la massima attenzione. E bisognerà sapere chi ha fatto il tampone, chi la sierologia. Il Veneto lo sta facendo anche grazie a un trial attivato con un certo numero di aziende, abbiamo tracciato alcune migliaia di soggetti anche grazie all’anagrafe di sorveglianza epidemiologica.
Insomma, alcune regioni sono pronte, anche la Lombardia si sta adeguando, altre meno. In questa fase – continua Palù – dovremo essere ancora più rigorosi rispetto a quella precedente, perché potenzialmente potremmo andare incontro a un’epidemia ancora maggiore rispetto alla prima. E questo rigore deve passare attraverso i controlli su chi sono i soggetti suscettibili e quelli in pre-esposizione. Questo si può fare se si ha un’anagrafe dettagliata, un sistema di analisi epidemiologica con tamponi e test sierologici anche nelle aziende”.
Il rischio dei mezzi di trasporto pubblico
Maria Rita Gismondo, la virologa che lavora alla Microbiologia clinica dell’ospedale Sacco di Milano e che un tempo aveva sottovalutato il problema, ora ritorna sui suoi passi con una grossa preoccupazione: i mezzi pubblici. Dobbiamo attenderci una risalita dei contagi? “Sì, è probabile che ci sia un’inversione di rotta. Ma intervenendo tempestivamente – rassicura – non ritorneremo al punto zero. La preoccupazione maggiore è per la Lombardia dove ancora i livelli non sono di massima sicurezza“, osserva Gismondo.
“Ovviamente conosciamo molto meglio la situazione, sappiamo molto di più su questo virus” e “tutti abbiamo gli elementi informativi per comportarci bene”. La speranza è quindi che, “intervenendo tempestivamente con tamponi e isolamenti mirati non invertiremo mai la rotta fino a tornare al punto zero. La cosa importante – avverte la microbiologa – è che ci sia una grandissima attenzione sugli eventuali sintomi, sugli eventuali nuovi casi positivi, perché solamente intercettandoli subito non avremo nuovi focolai”.
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Pillole di curiosità – Io non lo sapevo. E tu?
- Ogni venerdì sarà misurato l’indice di contagio R0 in ogni regione e il Ministero della Salute potrà fare le sue valutazioni. Se ad esempio l’R0 di una malattia infettiva è circa 2, significa che in media un singolo malato infetterà due persone. Quando la crisi del coronavirus sembrava inarrestabile quel valore era a 3.
- L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e numerosi istituti di ricerca di tutto il mondo hanno diffuso tante stime di R0 dell’infezione negli ultimi mesi, che erano comprese tra 1,4 e 3,8 nelle aree colpite nella prima fase di diffusione del virus. In Italia ora il valore è ben sotto l’1 e bisogna continuare a mantenerlo così.
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