Conversazione con Gianmaurizio Fercioni, un viaggio dentro l’anima del tattoo

Gianmaurizio Fercioni|||

Gentili lettori, è con piacere che in questo articolo vi propongo la splendida conversazione avuta con Gianmaurizio Fercioni, uomo di grande cultura e primo tatuatore ad aprire uno studio in Italia, il Queequeg Tattoo Studio & Museo di Milano, nell’ormai lontano 1974.

 

Ma prima di cominciare mi confesso, anzi, mi sconfesso: io, autore di questo pezzo, non sono tatuata.

Quando in redazione venne fuori l’idea, non mia, di fare un articolo sull’arte del tatuaggio mi offersi subito.

Il dandy politicamente scorretto Oscar Wilde affermava di saper resistere a tutto tranne che alle tentazioni, ed io, pur non essendo un dandy, non posso che riconoscermi nel celebre motto, che nel mio caso andrebbe così rieditato: so resistere a tutto tranne che alle tentazioni intellettuali. E così è stato anche questa volta.

 

Lo svolgimento di questo articolo sarebbe stata l’occasione perfetta per addentrarmi almeno un po’ alla scoperta del mondo del tattoo, per me affascinante ma ancora alquanto misterioso.

La biblioteca virtuale di Internet mette generosamente a disposizione montagne di sapere, ma per certi versi io sono un tipo all’antica, e credo che poche cose al mondo valgano più della fortuna di poter incontrare un maestro, un Virgilio che ti guidi nella scoperta di qualcosa di nuovo e ti doni l’esperienza dei suoi occhi per comprendere ciò che non sai.

Così Gianmaurizio Fercioni mi ha ospitato nel suo studio, insieme alla moglie Luisa e alla figlia Olivia, e mi ha accompagnato nella prima comprensione di quello che si è rivelato essere un mondo fatto di spirito e carne, amore e tormento, goliardia e dolore.

Tattoo Life

 

Il Queequeg Tattoo Studio di Gianmaurizio Fercioni, un luogo magico occultato in Brera

Camminando a passo spedito per le vie di Brera posso già respirare quell’aria pizzicante della milanesità più estroversa.

Lo studio di Gianmaurizio si trova all’interno di una piccola corte nascosta nell’ombra, e tutto ciò che si intravede dall’esterno fa presagire di potersi scordare del mondo una volta dentro. Ed è così, perché si varca la soglia, e si entra in un’altro mondo.

Non è lo spazio artificialmente cazzuto creato ex novo da un bravo interior designer, è lo spazio in cui la vita e le avventure della famiglia Fercioni si sono stratificate, sedimentate. È uno spazio in cui ogni centimetro parla di artigianalità, di maestria, di ricerca, di scoperta, di mistero, di irriverenza con buon gusto. Il tumulto vitale dell’esistenza, con i suoi up and down, arriva potente dalle pareti ricoperte di disegni, soggetti e reperti.

Tattoo life

Vengo accolta da Olivia e Luisa, e dopo una breve attesa Gianmaurizio Fercioni mi raggiunge per l’intervista.

Per chi di voi ancora non lo conoscesse, toglietevi dalla mente ogni immagine di trasgressione ostentata, perché Gianmaurizio Fercioni, scenografo diplomato all’Accademia delle Belle Arti di Brera con all’attivo collaborazioni nei maggiori teatri di tutta Europa, è un esempio di stile.

Se però a questo punto state immaginandovi un vellutato dandy vi sbagliate di nuovo. Il suo savoir-faire milanese si sfuma nell’irriverenza di un lupo di mare, e ha gli occhi di chi non ha smesso, ne smetterà mai di divertirsi, nonostante tutto.

 

Come detto più su, ero alla ricerca di un Virgilio da ascoltare, non di un teste da interrogare. Quindi la nostra conversazione si è svolta a ruota libera, come si suol dire, interrotta solo da qualche mia domanda.

Ecco come è andata.

 

Conversare con Gianmaurizio Fercioni: arte, cultura, ironia

Quella del tatuatore è una attività innanzi tutto artigianale”, mi spiega Gianmaurizio.

Come affermavano i vecchi tatuatori, un buon tattooist deve avere l’abilità di far affiorare sulla pelle quello che c’è già sotto, per questo la maestria artigianale è essenziale.

Se poi il risultato finale possiede tanta forza iconografica da poter essere definito arte, questo, come per ogni vero artista, lo stabilirà il pubblico.

Certo è che il mondo dell’arte è sempre stato affascinato dalla pratica del tatuaggio. Picasso ad esempio si cimentò nel tatuare, e come lui altri sono stati sollecitati dal fascino primitivo del tatuaggio, una pratica che in base ai ritrovamenti archeologici è antica quanto l’uomo, come le altre manifestazioni comunicative”.

 

In svariati anni di ricerca e studio, Gianmaurizio Fercioni ha conosciuto da vicino le forme di tatuaggio tradizionale proprie di antiche civiltà, come quella polinesiana e maori, e ne ha sperimentato in prima persona sia gli stili estetici che le tecniche di esecuzione.

Per questo si accosta con estremo rispetto al significato che esse esprimono presso le popolazioni d’origine, e non ama molto l’uso puramente estetico, inflazionato ed un po’ ignorante che talvolta se ne fa, influenzati dalle mode.

 

Quando si sceglie di farsi tatuare dei motivi tribali, ed io ho avuto la fortuna di potermene far tatuare due da un anziano tatuatore con le tecniche tradizionali, si entra in un’altra dimensione, di cui bisogna avere coscienza.

Un amico e grande maestro tatuatore giapponese, Horiyoshi, una volta mi disse che fino a quando non sperimentò il tatuaggio su tutto il suo corpo, non si rese conto appieno dei propri confini cosmici.

 

Anche per noi occidentali il tatuaggio, per essere vissuto autenticamente, non può che consistere in una presa di coscienza, in un fatto innanzi tutto intimo, che deve diventare semplicemente parte della tua pelle, qualcosa che ti appartiene in modo naturale come un neo o delle lentiggini.

Ecco perché le forme di esibizionismo, trasformando il tatuaggio in un fatto meramente estetico da sfoggiare, ne tradiscono e ne sviliscono totalmente l’anima e portano alla produzione di tatuaggi che non vanno oltre al virtuosismo tecnico fine a se stesso, sono senza forza, belle a vedersi ma non sanno di niente.

 

Tra i vecchi tatuatori è sempre stato costume di non esibire apposta i propri tatuaggi, anche per il buon gusto di comprendere che talvolta il tatuaggio può causare disagio negli altri.

Per esemplificare, potrei citare il maestro Hoffmann di Amburgo, che all’età di oltre settant’anni chiese in famiglia il permesso di tatuarsi le mani, per essere certo di non turbare la sensibilità di chi viveva con lui.

Come detto all’inizio, tatuare è un fatto artigianale, e un buon artigiano sa come trattare il “materiale”. Il tattooist lavora sul materiale più pregiato che esista, la pelle umana, quindi è essenziale che ne conosca il comportamento.

 

 

Anche nel tatuaggio ci devono essere deontologia e maestria, soprattutto nella capacità di trattare la pelle”, mi spiega.

Il tatuaggio è fatto sulla pelle, che negli anni si deteriora fisiologicamente.

Quindi è molto importante sapere come e dove tatuare e avere l’abilità di fare un certo tipo di tatuaggio che pur deteriorandosi nel tempo mantiene la stessa forza.

Il bravo tatuatore sa come il tatuaggio si comporterà insieme al resto del corpo.

 

Per questo e per altri motivi è importantissimo per i giovani tatuatori stare a bottega da un maestro, e coltivare l’atteggiamento giusto: non tenere presente che si lavora sulla pelle umana e non su una tela significherebbe mancare di rispetto ai propri clienti e al significato spirituale stesso del tatuaggio, che affonda le proprie radici in una esigenza espressiva di chi si fa tatuare e non di chi tatua.”

Per interpretare al meglio le esigenze espressive del cliente e coniugarle con armonia alla sua fisicità è essenziale lo studio della composizione artistica, senza il quale non si è in grado di creare un disegno dai volumi equilibrati e ben distribuiti sull’anatomia umana. Ma tatuare è un mestiere che spesso tira in ballo anche il cuore.

 

Gianmaurizio Fercioni mi racconta commosso di quando tatuò diversi ragazzi partiti in missioni militari, e mi spiega che “ la professione del tatuaggio ti “turba” ed è il suo dovere, deve avere energia.

Quella che entra qui è tutta gente determinata con dei pensieri che non immagini, spesso molto integra, che vive instancabilmente e rettamente. Ma cerca di affrontare la vita con goliardia.

Goliardia che non è uno scherzo gratuito ma è un modo per esorcizzare la fatica e la drammaticità dell’esistenza.

spns.it

Molto di più dell’ostentazione trasgressiva

Quella che oggi viene considerata una forma di ribellismo e di vezzo estetico è in realtà qualcosa di antico, profondamente spirituale, che nel linguaggio filosofico potrebbe essere definito “ tradizionale”, in quanto connesso con un sistema valoriale e spirituale ben precedente alla modernità.

Il miglior modo per perpetuare ed onorare questo rito antico è rispettarne la vocazione, che è ben lontana dalle forme di esibizionismo o di mero virtuosismo tecnico, e che nella tradizione Occidentale si definisce come sommo ed ultimo diario della propria esistenza.

 

In assenza di esibizionismo, tatuarsi è mettersi di fronte alla propria verità. Arrivati al dunque, tra il santuario della propria pelle e l’ago del tatuatore non c’è posto per la menzogna.

Perseguita con questi presupposti, ben lontano quindi dall’essere solo una forma di abbellimento estetico, tatuarsi è una pratica che impone introspezione, riflessione, esplorazione di se stessi.

Come decidere infatti quale soggetto tatuarsi? Non resta che indagarsi e comprendersi per individuare ciò che ci si vuole fissare addosso perché è stato fondativo, determinante, ciò che iconograficamente meglio esprime se stessi.

Oppure individuare il proprio insospettato alterego, per fissare sulla pelle quel lato inedito, goliardico o romantico, folle, struggente o becero (tutte le persone interessanti sono anche un po’ becere, sappiatelo) che vive celato sotto gli abiti della pur necessaria vita “borghese”.

 

E come decidere dove tatuarselo? Solo riflettendo sulla propria fisicità, sulla costruzione del proprio corpo, tanto in senso fisico quanto in senso simbolico.

Infine, come decidersi a sottoporsi a questo rito laico antico quanto l’uomo, se non confrontandosi con l’idea di eternità? L’irreversibilità del tatuaggio impone un confronto con il Tempo.

Si può infatti affermare che nella percezione umana del tempo, connotata dalla finitezza, ciò che dura per tutta la vita è eterno.

Ecco forse il senso delle parole del Maestro Horiyoshi.

Se percepite il tatuaggio come vostra forma espressiva d’elezione, quel che non vi siete tatuati forse non l’avete ancora vissuto.

Per concludere con le parole di Gianmaurizio Fercioni: “ Quando vi salterà addosso la bestia lo capirete benissimo”.

 

 

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