Gio Ponti, genio multiforme
Nato a Milano nel 1891, si laurea al Politecnico nel 1921, dopo aver interrotto gli studi per prestare servizio in prima linea durante la Grande Guerra, combattendo per quell’Italia amatissima che non avrebbe mai smesso di promuovere e valorizzare attraverso la penna di saggista ed ancor più la matita ed il tecnigrafo di progettista.
Dilungarsi nella descrizione della sua biografia sarebbe inutile. Limitarsi a citare ordinatamente i primi incarichi, la costituzione del primo studio in proprio, i primi impegni editoriali e via dicendo, sarebbe solo un impegnativo esercizio storiografico che, considerata la vastità e la varietà della produzione pontiana, risulterebbe imperdonabilmente incompleto.
Per citare solo alcuni esempi, scelti perché funzionali a questa trattazione, nella sua lunga e prolifica carriera Ponti disegnò importanti collezioni di oggetti in ceramica per Richard-Ginori, di cui assunse la direzione artistica dal 1923 al 1933.
I suoi lavori con la ceramica si fecero notare fin dagli esordi alla Mostra Internazionale di arti Decorative di Monza del 1923, quando un critico come Carlo Carrà definì “neoclassico a Milano” quel suo stile decorativo straordinariamente moderno, ma di ispirazione neoclassica, contaminato da vedute prospettiche di stampo rinascimentale ed elementi Dèco.
Il suo interesse per la ceramica si declinò in modo del tutto originale e, combinandosi con il suo forte interesse per lo studio del rivestimento delle superfici, lo portò a creare piastrelle e mosaici in grès.
Uno straordinario product designer, come diremmo oggi, che disegnò servizi da tavola, collezioni di posateria, tessuti e intramontabili pezzi di arredamento in cui seppe unire efficienza funzionale ed eleganza formale.
Si dedicò con uguale successo all’architettura edile urbana, progettando celebri edifici, come la sede Montecatini e la sede Pirelli, residenze private, perfino gli interni di transatlantici come il celeberrimo Andrea Doria, che divenne un compendio di gusto e stile italiano e scenografie teatrali.
Teatro, disegno, pittura, grafica, progettazione, architettura, in un sincretismo di discipline creative che si contaminano e si compenetrano, restituendo nel risultato finale dell’opera un’immagine di vitale e inspiegabile armonia, ordine, equilibrio, ritmo.
Ciò che rende straordinariamente coerente l’eterogeneità della produzione artistica di Ponti, oltre ad un contenuto intellettuale e tecnico sempre di altissimo livello, è un segno, un linguaggio grafico che è stato ben descritto dal Germano Celant, curatore della mostra “ Espressioni di Gio Ponti” ospitata alla Triennale di Milano nel 2011, con queste parole: “La sua attitudine a lavorare sulle contraddizioni di un linguaggio per immagini che poteva “affidarsi” a qualsiasi cosa, nave o piatto, sedia o vaso, grattacielo o lampada, hotel o murale, poesia o pavimento, gli ha permesso un approccio liberatorio, che nel contesto di una cultura monolitica, quello dello stile internazionale, è risultato dirompente e sconvolgente. Così è riuscito nell’impresa di passare da un fare classico a uno eclettico, mantenendo in vita un’iconografia ricca di racconti e di immagini. Muovendosi in un universo che prevedeva la progettazione “dal cucchiaio alla città”, quindi non specializzato né settoriale, Ponti è riuscito a spaziare e a divulgare una materia poetica, tradotta in prodotto di serie”
Connubio tra industria ed arte, antesignano del Made in Italy
La produzione in serie, la produzione industriale insomma, uno dei mondi che al genio di Ponti deve di più. Già nel 1925, quando l’Italia stava di fatto ancora esplorando le potenzialità della produzione industriale, Ponti scriveva: “l’industria è la maniera del XX secolo, è il suo modo di creare“.
Aveva già chiaramente compreso che unendo le nuove tecnologie e potenzialità industriali a progetti con un alto contenuto creativo, l’industria avrebbe davvero potuto nobilitarsi, diventando a pieno titolo partner dell’arte e creare oggetti bellissimi.
Considerava in sostanza l’industria una alleata importantissima per il progettista moderno.
Una propensione costante verso la modernità, la sua.
Pur svolgendo una attività di respiro internazionale progettando importanti edifici nelle maggiori metropoli del Pianeta, da New York ad Hong Kong, la tensione moderna di Ponti non scadrà mai e poi mai nello scimmiottamento di un modernismo esterofilo.
Profondamente innamorato di quell’ italianità che non aveva esitato a difendere, in barba a chi ancora considerava l’Italia una mera espressione geografica priva di coerenza culturale ed intellettuale, Ponti intuì e promosse il grande valore di quel che oggi orgogliosamente chiamiamo Made in Italy e che, già negli anni 30, altro non era se non l’alchimia creata dalla sapienza artigianale, l’avanguardia industriale e l’inconfondibile segno progettuale italiano.
Un segno che si sarebbe distinto per l’eleganza e l’energia del proprio contenuto creativo. Un segno progettuale colto, ma essenziale, mai inutilmente ricercato o ridondante, autentico, come autentica e sincera doveva essere per lui l’espressione artistica moderna italiana.
Domus, divulgare l’abitare all’italiana è una missione pedagogica
Fu proprio per dare spazio e promozione a questa visione progettuale, che poi era anche una missione culturale, che nel 1928 Gio Ponti fondò Domus, una pubblicazione dedicata ai temi dell’abitare contemporaneo.
Dalle pagine della rivista, che diresse quarant’anni con una sola breve interruzione, il Maestro si fece divulgatore.
L’editoriale con cui l’iniziativa venne presentata, dal titolo “la casa all’italiana“ fu manifesto del pensiero progettuale pontiano , secondo cui :”arte, architettura, design si devono fondere per creare un ambiente che sia in grado di offrire non tanto il comfort inteso nella sua meccanica applicazione di standard dimensionali, che garantiscano il minimo spazio vitale, quanto invece il conforto necessario a nutrire anche l’anima dell’uomo moderno, così come insegna la tradizione classica italiana.
Per questo, sulle pagine di Domus – il cui titolo è un chiaro rimando al felice archetipo individuato nella casa romana – trovano spazio le più disparate opere, che non devono necessariamente rispondere al criterio dell’aderenza al linguaggio internazionale per essere belle e, dunque, meritevoli di pubblicazione. Devono, invece, essere aderenti allo spirito della modernità, nelle sue molteplici declinazioni: non solo ville o abitazioni condominiali, ma anche ponti, fabbriche, infrastrutture elettriche sono belle perché moderne” (Domus, “Gio Ponti”)
Domus 90. Gio Ponti, Una mostra per celebrare i novant’anni della rivista
Domus è una delle creature più longeve del Maestro, e compie novant’anni portati splendidamente.
Per celebrare il 90º anno di attività, la rivista, ospitata dalla Galleria Carla Sozzani, sceglie di esporre alcuni progetti ed opere del suo fondatore.
La mostra, curata proprio dalla rivista, sarà presente presso la Galleria Sozzani dal 14 aprile al 6 maggio.
Senza alcuna pretesa di esaustività, come dichiarato dai curatori, la mostra ha un duplice intento.
Da un lato si propone di essere un focus su quell’idea di casa spesso richiamata da Ponti nelle pagine della rivista stessa. Una casa in cui il valore progettuale ed affettivo degli oggetti scalzasse la banalità della “casa di moda”.
Dall’altro, l’esposizione si propone, anche attraverso gli studiati accostamenti delle opere, di mostrare la poliedricità sempre coerente dell’opera pontiana, con una particolare attenzione alle superfici. Sia quelle tra di loro affini, come il rivestimento di una facciata o il decoro di un piatto, che quelle tra loro apparentemente eterogenee, eppure affrontate con lo stesso spirito progettuale.
È proprio questa l’immagine che accoglie il visitatore, introdotto alla mostra dal riuscitissimo e suggestivo accostamento di due creazioni di Ponti: il vaso Prospettica del 1925, e la facciata del primo palazzo Montecatini del 1936.
Due progetti diversissimi, accomunati dallo stesso inconfondibile segno grafico di serietà e leggerezza.
Non poteva certo mancare qualche esempio della vasta produzione pontiana di arredi ed accessori per la casa.
Un esemplare della poltrona Gabriela, conosciuta anche come “sedia di poco sedile“, disegnata dall’architetto del 1971, dunque in tarda età, dimostra ancora una volta l’eccezionale modernità connaturata al suo stile progettuale.
La seduta Gabriela, come le posate Conca disegnate per Krupp, anche esse esposte, rammentano al visitatore una delle espressioni tipiche del linguaggio pontiano, quella della “forma esatta”.
Lo studio dell’oggetto e del suo utilizzo effettivo, permettono al Maestro di arrivare a definire quale debba essere la “forma esatta” di un prodotto. La forma che rimosso tutto il superfluo è proprio quella che serve per la funzione.
Da segnalare, senza voler troppo anticipare, la presenza delle originali copertine di Domus del 1939 e 1940, personalmente disegnate dall’Architetto, connotate da tentazioni futuriste, e il tessuto “La legge mediterranea“ del 1957 disegnato per la manifattura Jsa.
Sebbene Ponti sia stato l’anima e il carattere di Domus per decenni, dunque celebrare la longevità della rivista omaggiandolo è assolutamente legittimo, il visitatore apprezzerà sicuramente l’allestimento che i curatori dell’iniziativa hanno previsto nella sala piccola della Galleria Sozzani.
Si saprà infatti che, nel testimoniare lo spiccato carattere di Domus, le immagini talvolta contano più del testo.
È quindi azzeccata la scelta di esporre una selezione di stampe vintage provenienti dall’archivio Domus e dal fondo G. Casali dell’università IUAV di Venezia, per rappresentare il lavoro di Giorgio Casali, il fotografo che collaborò per trent’anni con Domus. Un vero narratore di architetture, che ha saputo egregiamente interpretare le esigenze della rivista e raccontare spazi, oggetti e prodotti iconici con eleganza ed ironia.
Clarissa Di Stora Gargano