Lo studio Etb è un atelier di architettura specializzato nella ricerca progettuale e fondato dai professionisti Alessandro Tessari e German Pro Lozano. Leggi l’intervista completa sulla storia dello studio e la sua idea di architettura.
Come nasce e qual è la storia di ETB?
ETB è un atelier di Architettura dedito alla ricerca progettuale, composto da Alessandro Tessari e da German Pro Lozano. Abbiamo fondato il nostro primo ufficio nel 2010 a Siviglia, Spagna, dopo un triennio di collaborazione all’interno dello studio di quello che riteniamo il nostro maestro, l’Architetto spagnolo Guillermo Vazquez Consuegra. Le nostre energie si sono concentrate, fin da subito, nella partecipazione a Concorsi internazionali di Architettura. La vittoria in alcuni di questi, in particolare il progetto per il Museo Archeologico di Punta Umbria (Spagna), il Centro Polifunzionale di Sappada e la Senior City di Cortina D’Ampezzo (Italia) ci ha permesso di aprire il nostro atelier spagnolo, al quale è seguito dopo due anni la fondazione dello studio italiano a Treviso, dove attualmente sviluppiamo la gran parte della nostra attività professionali.
Quali sono i principi imprescindibili sui quali poggia l’idea di architettura di ETB?
ETB è particolarmente interessato all’interazione tra idea astratta dell’Architettura e la sua tonalità. Idea astratta intesa come ordine autonomo dell’Architettura, capace di stabilire regole semplici e comprensibili alla società. Tonalità come capacità dell’Architettura di trovare la giusta intonazione con i luoghi. Si tratta di una “seconda spontaneità” nel radicamento al suolo, una disponibilità a creare un discorso singolare con il paesaggio, nel quale confondersi.
Qual è il rapporto di ETB con il binomio tradizione/innovazione?
La tradizione è un bagaglio di conoscenze ed esperienze innovative riconoscibili e condivise in grado di perdurare nel tempo. Ogni intuizione capace di scardinare i paradigmi dell’ovvio è potenzialmente in grado di diventare patrimonio collettivo, dunque tradizione. In questa accezione i due termini si approssimano divenendo quasi sovrapponibili. Guardiamo alla tradizione con uno sguardo libero e interessato, senza sovrastrutture ideologiche. Ne facciamo un uso frequente e selettivo, come l’artigiano che maneggia specifici attrezzi della sua officina per risolvere questioni pratiche e contingenti. Crediamo che innovativo sia un’azione o pensiero in grado di inserirsi in un discorso più ampio e dotarlo di senso nuovo, completandolo.
Ci interessa da sempre agire nella disciplina architettonica senza la pressione (o l’oppressione) dell’originalità, dell’inedito e del sorprendente. Inoltre, attingiamo spesso al patrimonio di dispositivi spaziali, di figure e materiali delle costruzioni anonime, spontanee, esplorando la dimensione di un “vernacolare contemporaneo”, di un’Architettura capace di radicarsi nella memoria e perdurare senza compromessi alla fugacità dell’epoca presente.
Quando deve realizzare un progetto, quali sono le sue fonti di ispirazione?
Non crediamo che nella “ricerca dell’ispirazione” connessa ad un singolo progetto. Come architetti riteniamo serva costruire costantemente una biblioteca ampia e personale di luoghi, di spazi, di immagini, di idee, di intuizioni capaci di alimentare un discorso creativo soggettivo. L’occasione del progetto, incrociando questo scenario, determina le giuste tensioni e permette la definizione dell’idea.
Cosa contraddistingue e rende unici i progetti di ETB?
Chiarezza concettuale, desiderio di atemporalità e un ossessivo desiderio di sfumare nel contesto.
C’è un progetto realizzato che le sta particolarmente a cuore? Desidera raccontarcelo?
Ci sono due progetti, entrambi in fase di sviluppo, che hanno in qualche modo segnato un passo strategico nella nostra traiettoria di architetti. Entrambi sono ubicati lungo un fiume, in prossimità della loro foce: il rio Odiel, nella regione spagnola dell’Andalusia e il fiume sacro alla Patria, il Piave. Il primo è il progetto per il Museo Archeologico di Punta Umbria, in Spagna, vincitore di un concorso internazionale di Architettura. Il secondo è il recupero e riconversione dell’antica cisterna d’acque nella Città metropolitana di Venezia, in Centro Culturale.
Come nasce il Museo Archeologico di Punta Umbria?
Il Museo Archeologico si configura come un’architettura leggera e semplice, aperta al paesaggio e a tutta la società di Punta Umbria, come una tenda araba che alza le sue tele per far scoprire il suo prezioso contenuto. L’edificio si colloca in un’area di grande valore culturale per i resti archeologici di “salazones” di epoca romana, e per l’affascinante paesaggio orizzontale della “Ria”. Questi due elementi fanno si che l’edificio si conformi come un padiglione sospeso che quasi non tocca il terreno.
In questo modo, si genera un generoso spazio semicoperto che protegge il giacimento e ne permette la relazione diretta con il museo, senza interrompere le multiple relazioni visuali tra strada, fiume e il lontano profilo dell’isola di Saltes. Il museo cerca un’espressività neutra e pacata, così da sottolineare l’importanza del resto archeologico, vero protagonista dell’intervento. La strategia di apertura di assi visivi e percorsi rompono la scatola bianca e la trasformano in uno spazio multirelazionale, dove l’intera società può sperimentare la scoperta delle proprie radici culturali.
Come nasce il Centro Culturale nella città di Venezia?
Il centro Culturale recupera una serie di elementi di archeologica legata all’acqua, miracolosamente scampati ai bombardamenti a tappeto che hanno interessato questa porzione di territorio Veneto. Originariamente attraversata da potenti flussi d’acqua spinti verso la città, la cisterna si presenta oggi come uno spazio buio e umido, punteggiato da una fitta maglia di colonne a base quadrata; uno spazio simbolico, potente, evocativo ma precluso alla città. Il progetto parte da due riferimenti concettuali: l’idea dell’acqua in movimento e quella del fiume come sistema in costante trasformazione.
Queste due immagini si traducono in una strategia duplice che punta al recupero tanto dello spazio interno che di quello della copertura. Lo spazio interno, utilizzato come hub per una diversificata serie di attività socio-culturali, è conservato completamente nella sua configurazione strutturale. Inoltre, è reso compartibile in quattro unità spaziali di scala minore grazie ad un sistema di tende scorrevoli di colore blu Klein.
Lo spazio di copertura, accessibile tramite una nuova scala interna, viene riconfigurato come grande loggia pubblica coperta che amplia e potenzia la possibilità d’uso della Cisterna. Anch’esso può essere compartito in diversi spazi indipendenti tramite un sistema di tende avvolgibili, similmente alle precedenti, blu Klein. Esse si alzano o si abbassano, come sipari teatrali, a seconda delle necessità spaziali e acustiche dell’evento ospitato. L’immagine complessiva dell’intervento rimanda al vicino Piave e il suo fluire lento verso il mare. Nel movimentarsi e creare configurazioni sempre nuove, i tendaggi ricordano le grandi reti da pesca sospese lungo la vicina foce del Piave o i baldacchini temporanei delle tradizionali feste della Repubblica di Venezia.
Quanto reputa importante la sostenibilità nell’architettura al giorno d’oggi?
Faccio mie le parole del Prizker 2011, l’Architetto portoghese Eduardo Souto de Moura “non esiste architettura ecologica, architettura intelligente, architettura sostenibile. Esiste solo la buona architettura”. Credo si tenda in questo momento storico a schiacciare un concetto molto complesso e ampio come quello della sostenibilità in un limitato perimetro di tipo performativo/energetico. Questa lettura parziale serve a poco e non delinea delle strade utili al progresso della disciplina. Si fa necessario ampliare lo sguardo iniziando a riflettere e chiamare in causa le infinite altre sostenibilità che riguardano il nostro campo di azione come quella estetica, urbana, civile, etica, sempre più frequentemente ignorate.
Ci si renderebbe conto che il termine sfuma fino a confondersi in un discorso di qualità dell’architettura, in senso più ampio, di cui c’è come non mai l’urgenza. Ritengo necessario riportare il processo dell’architettura al centro delle dinamiche di sviluppo urbano, territoriale, sociale, civile, perseguendo con tenacia la qualità, unico metro di valutazione vero circa la sostenibilità di un’opera architettonica.
Desidera lasciare un consiglio agli appassionati di architettura che vorrebbero entrare in questo mondo?
Consiglierei di dotarsi di pazienza e tenacia; l’architettura è una scelta di vita prima che una passione che coinvolge, che occupa uno spazio mentale e immaginifico non arginabile. Si sovrappone in modo quasi completo alla vita e richiede dedizione costante e concentrazione assoluta, molta, moltissima vitalità. Se esercitata nel nostro Paese, l’Italia, diventa un atto dalle sfumature addirittura eroiche…
Habitante ringrazia lo studio Etb per la disponibilità e collaborazione.