Giovane architetto napoletano, laureatosi con lode al DiARC di Napoli e perfezionatosi al Politecnico di Milano, Mario Coppola nel 2008 realizza un sogno: quello di lavorare nello studio londinese dell’indiscussa dea dell’architettura, Zaha Hadid.
Contro ogni previsione, nel 2010 la svolta: la vita di Londra sta stretta a questo promettente professionista. Mario possiede una fortissima identità, una visione progettuale personale, fondata su profondi presupposti etici e su un senso estetico sviluppato in modo del tutto originale.
Così decide che la sua creatività deve trovare il proprio spazio a Napoli, in quella Napoli che gli è stata maestra ed ispiratrice, declinandosi secondo uno stile che, prima di essere stile progettuale, è stile di vita.
Architetto, designer, scultore e docente di Composizione Architettonica presso l’ Università Federico II di Napoli.
Appassionato di ecologia e portatore di una personale interpretazione post umanista dell’architettura, a motivo della quale presenzia come relatore in talk e conferenze sul tema. (Per approfondire il suo pensiero, vedi gli articoli The Architecture of Posthumanism, per una architettura non antropocentrica e Archweek Milano 2018. Coppola e tedeschi in Architecture 3.0)
Per Habitante è stato un piacere ed un onore poter conversare con questo creativo plastico, come lui ama definirsi, che avrebbe avuto ogni ragione d’ambire un futuro di ostriche e champagne a Londra, e ha scelto invece di mangiare pasta e gamberi nella sua Napoli, invertendo la retorica dei cervelli in fuga, conservando ed accrescendo una propria personalità creativa che, a prescindere dai presupposti etico/ filosofici, possiede una forza che non può passare inosservata.
Ecco il meglio della nostra piacevolissima intervista a Mario Coppola .
Mario, tanto nei tuoi lavori architettonici, quanto nella tua produzione di oggetti di design, emerge un senso estetico preciso, le linee sono continue e le superfici complesse. Da dove scaturisce questo senso estetico?
Tutta la mia sensibilità plastica scaturisce dal mio rapporto con la natura,e con Punta Licosa in particolare che è la “ mia natura”, quella dove ho vissuto e giocato fin da bambino.
Punta Licosa e anche le irregolarità del suolo su cui sorge la città di Napoli mi sono rimaste negli occhi, tanto che quando ero studente universitario avevo sviluppato un modo sui generis di studiare…in sostanza più che studiare sui libri mi dedicavo a disegnare i corpi degli elementi naturali, soprattutto quelli appunto tipici della riserva naturale di Punta Licosa.
Una analogia dunque tra i corpi naturali, sviluppati dagli algoritmi complessi e insondabili della Natura, e i corpi artificiali del paesaggio antropizzato?
Esattamente, la visione creativa che mi contraddistingue dipende proprio dal mio innato interesse per le forme dei corpi naturali.
Per questo preferisco definirmi un creativo plastico piuttosto che un architetto. Mi piace moltissimo modellare la materia e, anche quando progetto uno spazio, sono interessato a trovare una chiave espressiva libera, nonostante il fatto che debba negoziare con una serie di norme predefinite, senza le quali uno spazio non potrebbe essere vivibile.
Non a caso infatti mi dedico con grande passione alla scultura.
Ad ottobre dell’anno scorso ho potuto inaugurare una mia mostra personale a Napoli (ne abbiamo parlato in questo articolo) ed è stato il momento più felice della mia vita .
Fin da quando ero studente ho fatto mio un concetto, che ho raccontato con un aneddoto tratto dal periodo in cui lavoravo a Londra, che potete trovare nel mio libro “In cima al mondo, in fondo al cuore” e che vorrei trasmettere: la motivazione più forte per imparare ad usare un certo software o un certo strumento deve essere la volontà di esprimere e di concretizzare quello che immaginiamo con la nostra creatività.
Alla luce di questo, qual è l’hard core della tua identità di creativo plastico?
Senz’altro la scultura. Tant’è vero che quando modello uno spazio faccio quello che si potrebbe definire il “ negativo di una scultura”.
Io amo scolpire lo spazio più che progettarlo.
Quando creo una scultura utilizzando il PLA e le tecnologie di stampa 3D ho chiaramente più libertà espressiva. Non devo fare i conti con la destinazione d’uso e i requisiti ergonomici dell’oggetto, tanto per fare un esempio.
Nella modellazione di uno spazio abitativo devo invece confrontarmi con una lunga lista di restraints di natura tecnica e funzionale che impongono una buona fetta di predefinito.
In questo caso il mio divertimento è reinterpretare ambienti e oggetti secondo la mia chiave espressiva, che si concretizza nella sfida di creare spazi antropizzati che rispondano agli stessi connotati percettivo/ tattili di uno spazio naturale.
Nonostante questo però ti sei dedicato anche allo sviluppo di una linea di oggetti e complementi di design, con la rete di artigiani da te fondata, Ecosistemadesign…
Sì, considerando il fatto che non molte persone decidono di acquistare una scultura o di commissionare il progetto di una intera residenza, il design dei complementi di arredo mi offre la possibilità di condividere la mia visone creativa con le persone, attraverso oggetti meno impegnativi.
Al momento la produzione e distribuzione di oggetti di design attraverso Ecosistemadesign è una mia side activity, ma sto coltivando il pensiero di implementarla.
Cosa significa secondo te fare architettura post antropocentrica?
Fare architettura significa di fatto plasmare la forma del mondo.
Architettura è spazio e linguaggio.
Nella mia visione la connotazione post antropocentrica in architettura si concretizza nella forma, nella forma che l’architetto, in quanto creativo, da alle cose.
Le declinazioni pratiche del pensiero ecosostenibile, come l’applicazione di tecnologie ecosostenibili o l’introduzione di elementi naturali nelle architetture sono senza dubbio un passo, ma esulano dal dominio del linguaggio architettonico, che invece si compone di forme.
Ringraziamo Mario Coppola per averci gentilmente dedicato il suo tempo.