Gian Paolo Venier è una delle figure più affermate ed eclettiche nel panorama del design contemporaneo. Architetto, interior designer e creatore di installazioni temporanee, ha saputo integrare la sua passione per la moda e la cultura dei viaggi con una visione progettuale unica e innovativa. La sua carriera è una sintesi di esperienze che spaziano dall’architettura alla progettazione di interni, fino alla direzione creativa, con una particolare attenzione alla contaminazione tra discipline diverse. La sua capacità di attraversare mondi diversi e di tradurre queste esperienze in progetti distintivi lo ha reso un punto di riferimento nel design internazionale. Con una visione che si nutre di esperienze personali e di un costante dialogo con il mondo, Gian Paolo Venier continua a influenzare il panorama del design, proponendo soluzioni che riflettono un’idea di bellezza autentica e senza tempo.
In questa intervista ad Habitante, Gian Paolo Venier ci offre uno spunto per osservare più a fondo la sua visione del design, condividendo le sue riflessioni sulla fusione tra estetica e funzionalità, l’importanza delle tendenze cromatiche e il suo approccio innovativo alla progettazione. Con una carriera che abbraccia diverse sfere creative, Venier ci racconta come i suoi viaggi, le sue esperienze nel mondo della moda e la sua passione per l’architettura si intrecciano, dando vita a progetti che sono al tempo stesso espressione personale e risposte concrete alle sfide del design contemporaneo.
Intervista a Gian Paolo Venier: architetto, designer e direttore creativo
Gian Paolo, ci racconti un po’ del suo percorso professionale: come si è approcciato al mondo del design e come le è venuta l’idea di lavorare in questo campo?
Il mio percorso professionale è cominciato da molto lontano. Da giovane, non avevo un’idea chiara di cosa volessi fare, ma avevo una forte passione per le arti visive. Ho studiato architettura, ma la mia formazione è stata un mix di esperienze molto diverse. Ho iniziato lavorando nel teatro, occupandomi di scenografia e costumi, un campo che mi ha permesso di sviluppare un approccio creativo e fuori dagli schemi. Quella parte della mia vita mi ha dato una visione del design molto più libera e meno vincolata dalle convenzioni. Quando sono passato al mondo del design, mi sono trovato in un contesto che mi permetteva di sperimentare la creatività in un modo che non avevo mai pensato fosse possibile. Non avevo un piano preciso, ma col tempo ho capito che il design era il mio mezzo per raccontare storie, attraverso gli oggetti, le forme e, naturalmente, i colori. Ogni progetto è un po’ come una narrazione che si sviluppa in uno spazio, un racconto che prende vita attraverso i materiali che scegliamo e come li mettiamo insieme. Non sono mai stato uno di quelli che sognavano di fare il designer fin da bambino; in realtà, non avevo neanche ben chiara la figura del designer, ma quando sono arrivato a farlo, ho capito che questa era la mia strada, una strada che mi ha permesso di esprimere la mia visione del mondo.
Possiamo dire che il suo approccio è stato quasi un processo naturale? Un’esigenza che è venuta col tempo?
Sì, esattamente. È stato un processo naturale che è maturato col tempo, a partire da esperienze che sembrano lontane, ma che in realtà erano tutte parte di un cammino che mi ha portato qui. Il design non è mai stato un punto di arrivo, ma piuttosto un viaggio, che ho iniziato con l’approccio al teatro, continuato con l’architettura e culminato nel design d’interni. Ogni esperienza si è fusa con quella successiva, creando una visione che non era solo quella di un architetto, ma anche quella di qualcuno che sa vedere la bellezza nelle piccole cose della vita quotidiana. A un certo punto, ho incontrato una persona che ha avuto un impatto enorme sulla mia carriera: la fondatrice dello studio Otto con cui collaboro oggi, Paola Navone. È stato un incontro che ha messo ordine nel mio lavoro, portandomi a capire che il mio approccio doveva essere più focalizzato, ma senza mai perdere quella libertà di esplorazione che avevo nel cuore. Da allora, ogni progetto è diventato un viaggio emozionale che mi permette di esprimere chi sono davvero.
Lei lavora tra design di interni e moda. Come riesce a mantenere un equilibrio creativo tra queste due discipline?
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La moda, per me, è una delle discipline più potenti, proprio per la sua velocità e per il suo costante rinnovamento. In un certo senso, la moda è sempre un passo avanti rispetto al design di interni. È come un laboratorio in cui puoi osservare come il gusto collettivo evolve, come i colori cambiano, come le forme si adattano ai tempi. Non credo ci sia una separazione netta tra design e moda; entrambe sono discipline che, al loro meglio, devono rispondere a un’esigenza emotiva. La moda è un linguaggio che parla direttamente all’emotività del pubblico, e quando la trasferisci nel design d’interni, diventa un modo per creare spazi che non solo sono esteticamente piacevoli, ma che ti coinvolgono, che ti fanno sentire qualcosa. La cosa interessante, però, è che entrambe le discipline si influenzano a vicenda. Ci sono pezzi di design che influenzano la moda, e viceversa, e oggi più che mai, non ci sono confini ben definiti. Il design e la moda fanno parte di una stessa ricerca creativa, ed è per questo che mi piace guardare con curiosità anche a tutto ciò che succede fuori dai confini del mio lavoro. Ad esempio, un film, una mostra, una tendenza emergente, sono tutti stimoli che nutrono la mia creatività.
Il viaggio è un tema ricorrente nei suoi progetti. Come influenzano i suoi viaggi le sue creazioni?
Il viaggio è essenziale per la mia creatività. Non torno mai a casa in senso stretto, perché la mia casa è dove c’è un progetto da realizzare. Ogni luogo che visito diventa un punto di partenza per un nuovo progetto. Non è solo una questione di geografia, ma di esperienze, colori, culture e tradizioni che assorbo lungo il cammino. Ogni viaggio mi permette di arricchire il mio bagaglio di idee e di farle confluire nei progetti che realizzo. Ogni progetto che affronto è un viaggio in sé, perché richiede una visione aperta, che si nutre delle impressioni che il mondo mi dà. È un’esperienza che non si ferma mai. Quando lavoro, mi sento parte di un percorso che non finisce mai, che si evolve. A volte, questo viaggio fisico diventa anche un viaggio mentale che mi permette di esplorare nuove prospettive da portare nei miei lavori. Se devo progettare qualcosa, come un’abitazione, devo sentire che quel progetto ha una connessione con il luogo in cui nasce. Non credo sia possibile fare un progetto senza tener conto del contesto in cui si inserisce.
Parliamo della sua collaborazione con Novacolor. Come si è sviluppata e quali sfide ha incontrato lungo il percorso?
La collaborazione con Novacolor è stata una delle esperienze più stimolanti della mia carriera. È nata grazie a un incontro con Roberta Vecci, che è stata fondamentale per la realizzazione del progetto. L’approccio che ho proposto a Novacolor non è stato basato solo su un’analisi di mercato, ma su una visione più emotiva del colore, un approccio che potesse evolvere in qualcosa di diverso rispetto alla tradizionale interpretazione delle tendenze. Con Novacolor, ho trovato un terreno fertile per sperimentare, ma soprattutto per far sì che il colore non fosse solo una scelta estetica, ma un elemento che raccontasse una storia, un’emozione. La sfida principale è stata quella di far comprendere questa visione e, fortunatamente, siamo riusciti a condividere un linguaggio comune. Inoltre, è stato fondamentale il supporto dell’agenzia Freedot, che ha contribuito in maniera decisiva alla parte di comunicazione. Mi sono trovato davanti a un team che ha capito subito la mia visione, e che ha saputo tradurla in un racconto visivo che avrebbe potuto toccare le persone. La collaborazione è stata intensa, ma estremamente gratificante, proprio perché ci siamo supportati reciprocamente nel portare avanti un progetto che fosse emozionante e autentico.
Come individua le tendenze cromatiche? Qual è il suo processo nello studio dei colori?
Per me, lo studio dei colori è un processo che va oltre la semplice analisi tecnica. Non mi limito a seguire i report o le analisi di mercato, ma cerco piuttosto di cogliere l’essenza delle tendenze in modo più intuitivo, attraverso ciò che vedo quotidianamente. Il mio approccio è più sensoriale. Per esempio, prendo immagini da diversi contesti: fotografie, articoli, tendenze che emergono sui social, ma anche elementi casuali che mi colpiscono durante i miei viaggi. Dopo aver raccolto queste immagini, le esamino per cercare pattern e connessioni che mi possano raccontare qualcosa di più profondo, qualcosa che non è ancora evidente al grande pubblico. Quello che cerco è un’emozione, un movimento, una sensazione che il colore può trasmettere. Dopo aver analizzato tutte queste informazioni, mi trovo a mescolare mentalmente i colori, a creare delle combinazioni che sento rappresentino l’epoca in cui viviamo. Non c’è una formula precisa, è un processo che nasce dalla mia esperienza visiva e dall’emotività, ma è anche molto concreto. Quando mi trovo a definire una palette di colori per un progetto, è come se stessi scrivendo una storia visiva. Ogni colore, ogni sfumatura, ha un significato e un ruolo nella narrazione complessiva. A volte, invece di seguire tendenze più mainstream e generiche, vado alla ricerca di quelle che sono le emozioni nascoste dietro alle scelte cromatiche che vedo emergere nella vita di tutti i giorni.
Parliamo un po’ dell’approccio emotivo che ha utilizzato per proclamare Eclipsia il colore dell’anno 2025. Come si inserisce in questo processo?
La scelta di Eclipsia come colore dell’anno 2025 è il risultato di un processo emotivo profondo. Non si tratta solo di selezionare una tonalità che sia di tendenza o esteticamente piacevole, ma di individuare un colore che evochi una forte emozione, che comunichi una sensazione autentica a chi vivrà lo spazio. Eclipsia è un colore che trasmette intensità e mistero, una profondità emotiva che si inserisce perfettamente in un contesto in cui la bellezza, l’equilibrio e l’emozione si fondono. La sua scelta non è casuale, ma un tentativo di catturare un’atmosfera unica, che può variare dalla calma alla forza, ma sempre con una dimensione avvolgente e profonda. Questo approccio emotivo è il cuore del mio lavoro: il colore deve sempre risuonare con l’esperienza che si desidera creare, ed è fondamentale che ogni tonalità parli direttamente alla persona che vivrà quell’ambiente.
L’emotività non è mai un processo istintivo. C’è un metodo dietro, che affonda le radici nelle esperienze personali, nei miei viaggi, nelle percezioni della cultura contemporanea. La bellezza del colore è proprio questa capacità di raccontare storie silenziose ma potenti. Eclipsia è un esempio perfetto di come un colore possa evocare un’emozione forte, permettendo a chi lo percepisce di connettersi con una parte intima e personale della sua esperienza. Ogni progetto che porto avanti, attraverso un colore come Eclipsia, ha l’obiettivo di svelare una storia, un’emozione che va al di là della superficie visiva.
Secondo lei, come sarà la casa ideale del futuro?
La casa del futuro deve rispondere a una necessità che è sempre più evidente oggi: deve essere un luogo che ci faccia sentire liberi, che non ci limiti nel nostro modo di vivere. La casa deve diventare un rifugio che non è solo funzionale, ma anche un posto dove la creatività possa fluire liberamente, dove possiamo sentirci a nostro agio senza paura di rovinarla o di compromettere l’estetica. Nella società moderna, siamo abituati a vedere case perfette, tutte uguali, senza un’anima. Ma la casa ideale del futuro sarà, a mio avviso, un luogo informale, che ci accoglie e che riflette la nostra personalità, il nostro modo di vivere. Deve essere un luogo che non impone regole rigide su come deve essere vissuto. Mi piace pensare che ogni casa sarà diversa, in base a chi la abita e alle sue esigenze. Non deve essere un set cinematografico o un museo, ma uno spazio dove l’imperfezione e l’autenticità sono accettate e celebrate. Per me, la casa perfetta non è quella dove tutto è “a posto” in ogni momento, ma quella che riesce a riflettere la nostra umanità, con le sue imperfezioni e la sua bellezza autentica. Credo che la casa ideale sia anche un luogo flessibile, dove gli spazi possano trasformarsi facilmente in base alle necessità. Oggi più che mai, bisogna liberarsi da vecchi schemi architettonici e pensare a spazi che rispondano davvero alla vita di chi li abita.
In che modo gli acquisti online stanno cambiando l’approccio all’arredamento? Qual è il ruolo degli e-commerce oggi e quale sarà in futuro?
L’e-commerce sta sicuramente cambiando il nostro modo di pensare all’arredamento. Da un lato, ha reso l’acquisto di mobili e complementi d’arredo più accessibile, permettendo alle persone di esplorare una vasta gamma di prodotti senza uscire di casa. Ma dall’altro, credo che ci siano ancora delle sfide da affrontare. Quando acquisti un divano online, per esempio, non hai la possibilità di provarlo. Non puoi toccarlo, sentirlo, testarne il comfort. Questo è uno degli ostacoli principali, perché l’arredamento è qualcosa che deve essere vissuto. La sensazione che un divano o una poltrona ci offre quando ci sediamo su di esso è una parte fondamentale del nostro processo di acquisto. Quindi, per gli e-commerce, la sfida sarà quella di riuscire a trasferire questa esperienza nel mondo digitale, creando un modo per il cliente di “sentire” il prodotto attraverso il sito web. È qualcosa che ancora non siamo riusciti a fare perfettamente. La credibilità dei marchi sarà un elemento cruciale, come abbiamo visto con i grandi marchi che sono riusciti a guadagnarsi la fiducia dei consumatori. Ma penso che in futuro vedremo un’evoluzione che permetterà di superare questi ostacoli, ad esempio con nuove tecnologie come la realtà aumentata o altre innovazioni che possano rendere l’esperienza di acquisto più coinvolgente e realistica.
E per concludere, facciamo un viaggio in un luogo magico: come mai ha scelto Syros come suo rifugio creativo?
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Syros è per me un luogo speciale, non solo per la sua bellezza, ma anche per la sua serenità e per la sua storia. Quando ci sono arrivato per la prima volta, sono rimasto sorpreso dalla sua energia, dalla sua cultura, dalla sua gente. È un’isola che mi ha accolto in modo unico, come se mi stesse dicendo “benvenuto a casa”. Ogni angolo di Syros ha una sua storia, una sua vibrazione, che mi ha fatto sentire subito a mio agio. Questo mi ha dato una grande libertà creativa, perché l’ambiente stesso mi stimola a lavorare, a pensare, a progettare. Il contrasto tra la modernità e la tradizione, tra la cultura greca e la mia formazione, è qualcosa che mi arricchisce ogni volta che ci torno. Syros è il mio rifugio, ma anche la mia fonte di ispirazione, perché mi permette di entrare in contatto con il mio lato più profondo e creativo. È un posto dove posso concentrarmi completamente sul mio lavoro, dove posso fare delle pause e ricaricarmi. E, in un certo senso, rappresenta un’ancora per la mia creatività.