Se mi soffermassi a riflettere sulla personalissima predilezione per la ceramica, non potrei che constatare quanto fortuitamente sia capitato di innamorarmene, quanto, in altre parole, tale sentimento o disposizione sia semplicemente il frutto della casualità più estrema.
A voi Habitanti, ad esempio, è mai capitato di perdervi in questo tipo di strani pensieri? di tentare di rintracciare la causa della vostra particolare attrazione per qualcosa?
Ma sì dai, a ben guardare, non è nulla di che! Succede, soprattutto quando, con il caldo di questi giorni, non si ha la ben che minima voglia di uscire dalla porta di casa, ma, immobili sulla poltrona, ci si riduce a fissare il soffitto…in cerca di qualche ispirazione!
Personalmente, la ceramica la conobbi molto presto; non soltanto sotto la veste di quella miriade di piatti e piattini colorati appesi alle pareti di casa, ma, soprattutto, nella fase di modellazione, cottura e decorazione della stessa, nello studio di scultura di mio nonno, Gian Luigi Bennati.
Come dicevo, la conobbi appunto molto presto, ma, da ragazzino, non me ne appassionai per nulla: era solamente un materiale come ogni altro (poco desiderato in quanto semplice terra: nella mentalità di me, bambino) che sporcava le mani e che, in fase di cottura, emanava un calore terribile…
…poi, però, successe qualcosa…
Durante una vacanza a Roma con due amici, in una giornata di più di dieci anni fa che nulla aveva da invidiare alla sauna a cielo aperto di questi giorni, trovammo riparo tra le poco affollate (semideserte in realtà) sale del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.
In questo unico e incredibile scrigno del passato, custode di una civiltà poco conosciuta, mi innamorai della ceramica.
Il colpevole o il Cupido, se preferiamo, chi fu?
Un Apollo in terracotta (la terracotta è, infatti, un tipo di ceramica) che, dalla fioca luce di una semplice saletta, osservava il visitatore con quel fare serenamente orgoglioso tipico dei popoli classici, uno sguardo che, non lo nascondo, non servirebbe, mi ha sempre suscitato invidia.
Da quel momento cominciai a guardare alla ceramica con occhi completamente diversi. I lavori di mio nonno e di mio padre, Massimo, iniziarono infatti a mostrare un’essenza che a me era sempre rimasta nascosta, ma che a loro, credo, non poteva essere certo sfuggita: un’anima sacra e genuinamente mediterranea, uno spirito, quasi divino, trasmesso di generazione in generazione grazie al sangue nelle vene di artisti capaci e creativi.
Perché tanto clamore per della semplice ceramica?
Perché, nonostante la sua semplicità, è uno dei materiali che, più di ogni altro, è in grado di richiamare il proprio legame con due degli elementi che compongono il cosmo classico: la terra e l’acqua (nello stadio antecedente la cottura), ma la terra, soprattutto; quella terra che ci sostiene e sostenta con la propria materia, quella terra che, modellata da un qualche divino vasaio, costituisce nulla di più di ciò che per noi è il tutto, ovvero il nostro mondo.
L’importanza della ceramica, ad esempio, non dovette passare inosservata agli occhi di uno dei più fini politici americani: John Adams.
In merito alla ceramica e alla sua lavorazione, infatti, colui che sarebbe passato alla storia come il secondo presidente degli Sati Uniti d’America si espresse in termini più che positivi, accostandola, se vogliamo, al fine ultimo verso cui dovrebbe tendere la civiltà occidentale:
«Devo studiare politica e guerra perché i miei figli possano avere la libertà di studiare matematica e filosofia. I mie figli dovrebbero studiare matematica e filosofia, geografia, storia naturale, costruzione navale, navigazione, commercio e agricoltura così da dare ai loro figli il diritto a poter studiare pittura, poesia, musica, architettura, scultura, e ceramica»
Niente male per essere “semplice” terraglia, vero?
La ceramica in Italia
Ora, oltre al fatto che anche nelle remote terre dell’Italia nord-occidentale, sulle sponde dei Sette Laghi, è sempre stata fortemente radicata una spiccata vocazione alla lavorazione della ceramica (la Pozzi-Ginori di Laveno Mombello, chiusa qualche anno fa, il MIDeC, il famoso Museo Internazionale del design ceramico a Cerro di Laveno Mombello e la fornace della Ceramica Ibis di Cunardo; tutte in provincia di Varese), è senz’altro vero che altre sono le città italiane che hanno avuto la fortuna di vedere legato il proprio nome a questo semplice materiale.
Tra le località italiane più famose (o che lo sono state in passato) in tutto il mondo per la lavorazione della ceramica ricordiamo:
- Faenza (Emilia-Romagna)
- Albissola (Liguria)
- Ariano Irpino (Campania)
- Caltagirone (Sicilia)
- Cerreto Sannita e San Lorenzello (Campania)
- Impruneta (Toscana)
Una storia, quella della ceramica, che in Italia, oltre a essere molto diffusa lungo tutto lo stivale, è anche davvero molto antica: basti pensare che le prime manifatture furono impiantate nell’Italia meridionale dai coloni greci, nel IV sec. a.C.
Le Teste di Moro di Caltagirone
Non è possibile parlare della ceramica, senza nominare quelli che potremmo a ragione definire i simboli di questa antica e suggestiva arte: le Teste di Moro siciliane che, grazie ai maestri ceramisti di Caltagirone, sono ora rinomate in tutto il mondo.
Questi coloratissimi vasi, sospesi tra gli antichi balconi di un qualsiasi borgo siciliano, hanno alle spalle una storia (declinata in due versioni differenti, anche se simili) davvero triste, oltre che truce (utilizzando un vocabolo caro alla cinematografia contemporanea, potremmo definirla splatter).
Intorno all’anno 1000 un amore tra una giovane siciliana e un aitante moro, nato tra le viuzze del quartiere arabo di Palermo, non andò, potremmo dire, molto a buon fine: lei, infatti, dopo aver scoperto che l’amato era in realtà già sposato, decise, pur tra mille sofferenze, di mozzargli la testa; in questo modo riuscì, nello stesso tempo, a vendicarsi del torto subito e a conservare, in qualità di vaso per il basilico, l’adorato capo del giovane. Le dirimpettaie, essendosi in seguito accorte della bellezza del “vaso”, decisero che anche loro avrebbero dovuto possederne uno e così lo fecero replicare, appunto, in ceramica, per i propri balconi.
Un’altra versione della leggenda sull’origine delle Teste di Moro, comunque simile a quella appena illustrata, vede fare una fine poco felice, una fine violenta, a entrambi gli amanti: scoperto il loro amore clandestino, i due vengono decapitati e le loro teste appese come monito su una vasta balconata.
Ecco perché questi stupendi vasi andrebbero sempre acquistati in coppia; ricordatevene quando, in vacanza nella bella Caltagirone, vi assalirà la voglia di acquistare una coloratissima Testa di Moro.
Nel corso di questo articolo abbiamo tentato di trasmettervi una prospettiva differente tramite la quale osservare questo incredibile materiale, impasto genuino e semplice composto da elementi altrettanto semplici che, grazie alle mani e ai pensieri di un’artista, è in grado di elevarsi a ben altro, spiritualizzandosi.
Durante questo mese di agosto, qualora doveste avere qualche giorno libero e non sapeste che fare, ricordatevi che l’Italia della ceramica è davvero molto vasta, oltre che incredibilmente bella, e che vi aspetta, con tutta la vostra famiglia.
Buone scoperte, Habitanti!