Con cambio di destinazione d’uso di un immobile si intende il passaggio da una categoria catastale ad un’altra tra quelle indicate dalla normativa vigente.
Si tratta di un’operazione per la quale bisogna avviare la pratica edilizia in base al tipo di trasferimento. Il cambio di destinazione è quasi sempre consentito, ma ci sono casi in cui non è concesso. Non solo, nel caso in cui si operi senza seguire le regole, si incorre nell’abuso edilizio e si possono ricevere pesanti sanzioni amministrative.
Quando si può fare il cambio di destinazione d’uso
Le categorie catastali individuate dal Testo Unico Edilizia sono suddivise in cinque gruppi: residenziale, turistico-ricettivo, produttivo e direzionale, commerciale, agricolo e funzioni connesse.
Il cambio di destinazione d’uso consiste proprio nel passare da una categoria all’altra. Affinché si possa fare il passaggio, devono essere rispettati determinati requisiti previsti dalle normative vigenti.
Quando le caratteristiche dell’edificio e degli ambienti si adattano alla nuova funzione prevista e i regolamenti e strumenti urbanistici comunali lo consentono, il cambio di destinazione d’uso viene sempre concesso. Le problematiche si presentano invece quando ad esempio, l’ambiente da trasformare appare inadeguato rispetto alla nuova destinazione. Ad esempio se non sono rispettate:
- le norme igienico-sanitarie,
- i rapporti aero-illuminanti
- altre caratteristiche specifiche fondamentali di una determinata destinazione d’uso.
In questi casi possono essere necessari interventi più o meno invasivi ma in genere, si riesce sempre a trovare una soluzione.
I regolamenti da rispettare per il cambio della destinazione d’uso
Prima di procedere alla modifica bisogna anche verificare il Piano Regolatore o il Regolamento urbanistico del Comune d’intervento. Perché può capitare che siano gli stessi piani urbanistici locali ad impedire che in un determinato luogo si possa realizzare una determinata attività. Altra situazione problematica può essere quella di un cambio di destinazione d’uso all’interno di un contesto condominiale.
Qui vale il regolamento condominiale che redatto in assembleare e votato dai condomini all’unanimità, può riportare determinati limiti e divieti al cambio di destinazione d’uso. Ma se nel regolamento di condominio non vi sono espliciti divieti, ogni condomino può liberamente cambiare la destinazione d’uso del suo appartamento.
Passaggi e costi per la variazione catastale
Esistono due tipologie di cambio di destinazione d’uso: rilevante o non rilevante. Quando non è rilevante significa che avviene all’interno della stessa categoria, altrimenti si dice rilevante.
Nel caso in cui si rimanga nella stessa categoria, il cambio è sempre possibile ed è sufficiente presentare in Comune una SCIA.
Ma se il cambio di destinazione d’uso comporta il passaggio di categoria, bisogna richiedere il Permesso di costruire, indipendentemente dal fatto che si eseguono o meno lavori edili. Poiché possono esserci differenze a livello locale e regionale, prima di procedere, è sempre bene consultare l’Ufficio tecnico comunale e i regolamenti locali.
Il costo del cambio destinazione d’uso
Il costo del cambio destinazione d’uso con opere di un immobile è variabile. Le spese fisse sono quelle che riguardano oneri di urbanizzazione e le pratiche catastali. Mentre le spese per i lavori di ristrutturazione necessari al cambio d’uso e il compenso dovuto al tecnico incaricato per la gestione della pratica, la progettazione e la direzione lavori possono cambiare sensibilmente.
Oltre a questi costi bisogna considerare che cambiando di categoria l’immobile, con l’aggiornamento catastale e quello urbanistico, si avrà una rendita catastale differente sulla base della quale verranno calcolate delle tasse da pagare, come l’IMU o la Tasi.
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Pillole di curiosità – Io non lo sapevo. E tu?
- Il Rapporto su «Gli Immobili in Italia» redatto dall’Agenzia delle entrate in collaborazione con il Dipartimento delle Finanze e la Sogei nel 2019 inerente la situazione patrimoniale e catastale degli immobili e i loro utilizzi riporta che in Italia le abitazioni di proprietà di persone fisiche risultano per il 60,6% ad uso abitazioni principale, per 17,3% sono immobili a disposizione, 10,5% sono Immobili locati e 2,7% risultano dichiarati ad uso gratuito. Il 4,6% sono destinati ad altri utilizzi mentre il 3,5% sono unità non riscontrate in dichiarazione e lo 0,9% l’utilizzo non è stato possibile ricostruirlo.
- Il Rapporto su «Gli Immobili in Italia» per quello che riguarda gli immobili locati evidenzia che la percentuale di negozi di proprietà delle persone fisiche dati in locazione si attesta intorno al 51%, mentre gli uffici locati risultano il 46% del totale.
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