E’ di poche ore fa la triste notizia inerente la morte del maestro Fabrizio Caròla. Apprendiamo la notizia proprio dai social del suo studio Studio 2111- Fabrizio Caròla e associati; i suoi collaboratori lo salutano così:
“GRAZIE PER TUTTO CIO’ CHE CI HAI INSEGNATO…..
“Anima John era appena uscita dal corpo e si fermò un momento a guardarlo. Era ben vecchio quel corpo, usato, consunto di vita. Era stato un corpo di buona qualità, ben fatto ed aveva servito molto e a lungo…ed ora era finito, pronto a dissolversi, a divenir nulla.
Anima John si sorprese di queste riflessioni e d’un tratto si rese conto che era successo: era avvenuto quel fatto che ormai da qualche anno, aspettava quasi con ansia, con desiderio e curiosità ma anche con paura; no, paura proprio no, ma apprensione: e se non ci fosse più nulla dopo, nulla, nulla, nulla?
E invece qualcosa c’era, non sapeva ancora cosa, ma stava per scoprirlo; quel che per ora era certo è che Anima John era lì; se non ci fosse stato nulla non ci sarebbe stato nemmeno Anima John…
Il vecchio corpo era ancora afflosciato lì nella poltrona ma ora non era più solo: gente era venuta: la portiera, il vicino, alcuni erano venuti solo per vedere…Non c’erano pianti, né grida, né dolore. Qualcuno disse: poveretto ma c’era da aspettarselo alla sua età. Fu tutto, poi telefonò, passò a cose pratiche…Quelli che avrebbero potuto piangere, quelli che l’avevano amato, erano già andati via, prima di lui e lui aveva spesso pianto.
Ora Anima John si meravigliava di stare così a guardare e ascoltare, presente ma dal di fuori: ma a dire il vero, e se ne rese conto pian piano, non era veramente guardare, né vedere, né proprio ascoltare, ma era un po’ tutt’insieme. Le sensazioni non gli venivano distinte le une dalle altre come attraverso i sensi, che non aveva più, che erano rimasti lì con il vecchio corpo: le sensazioni si confondevano ora in una sola che le comprendeva tutte e non era già più una sensazione ma era, era…..essere, semplicemente essere!
Ecco, si disse Anima John, adesso, finalmente io sono!
Io sono! Ma ben presto anche l’io, il senso dell’io, di individualità, cominciò a perdere di significato e si dissolse: Essere! Ora era Essere!
E Anima John si rese conto che essere si stava dilatando: non era più soltanto la poltrona, con il corpo dentro e la gente indaffarata intorno, ma anche i muri intorno, e il pianerottolo e la scala e gli appartamenti vicini e gli alberi intorno e le strade intorno e le radici e i tetti e i campi intorno e le nuvole sopra… e a mano a mano che l’essere si dilatava, tutte le cose perdevano il loro senso corporeo, il loro aspetto fisico, diventavano essenza e come tale si integravano nell’essere…..
Essere tutto.
Morire è Essere Tutto.” F. C.
Ciao Fabrizio.”
Fabrizio Caròla e l’architettura italiana in Africa
“A me l’architettura non interessa. A me piace farla.”
La biografia di Caròla sembra tratta da un romanzo. Figlio di un’importante famiglia napoletana si diploma – nel 1956 – alla Ecole Nationale Supérieure d’Architecture “La Cambre” di Bruxelles, fondata da Henry Van de Velde. Per la sua formazione questo ambiente risulta determinante per la definizione di un approccio più fisico, materico verso il progetto: l’architettura del fare e del costruire.
Ritratto dell’architetto Fabrizio Caròla in un documentario dedicato al lavoro a Mali in Africa
Ma Fabrizio Caròla, non è stato solo un architetto: è stato un nomade alla costante ricerca di nuove strade, votato alla sperimentazione e alla scoperta. A partire dagli anni ’60 infatti ha dedicato la sua vita e la sua carriera a un territorio a lui sconosciuto, l’Africa. I primi lavori furono realizzati in Marocco per la ricostruzione post terremoto dell’ospedale di Agadir. Successivamente si sposta in Mauritania dove realizza il suo progetto più importante, il Kaedi Regional Hospital, grazie al quale vince nel 1995 l’Aga Kahn Award for Architecture.
In seguito decise di spostarsi in Mali per scoprire e studiare l’architettura sub-sahariana passando il resto della sua vita. La sua poetica e il suo modo di agire sostenibile emergono in modo distintivo dalle opere che ha realizzato in Africa.
Proprio in merito all’Africa afferma: “Per il mio lavoro, lì è tutto più semplice, una realtà meno strutturata, nei villaggi e nei paesi c’è più libertà, valida finché c’è il rispetto che impedisce di abusarne”.
La sostenibilità dell’architettura di Fabrizio Caròla: la cupola come modello sociale
Si parla tanto di sostenibilità in architettura, ma quante soluzioni risultano oggi realmente economiche, a basso impatto ambientale e funzionali? Il maestro Caròla ci ha insegnato molto da questo punto di vista. Con il suo lavoro ha lasciato un segno indelebile nella storia dell’architettura: la sua attenzione rivolta sempre alla definizione di un rapporto simbiotico tra materia e luogo. Un’architettura possiamo dire quasi spontanea, che predilige forme e materiali naturali legati al genius loci e che rispondono alle reali necessità dell’uomo.
La terra cruda e la terra cotta, sotto forma di mattone, sono i suoi materiali prediletti per poter creare opere monomateriche, evitando l’uso del legno per ridurre la costante desertificazione del territorio. Rifiutava assolutamente l’uso di ferro e cemento per l’architettura perché “elementi alieni” e inadeguati al contesto.
Per creare il suo stile inconfondibile di archi, volte e cupole ribassate che rispondono alle necessità funzionali e di rapida esecuzione, è stato sviluppato appositamente il compasso ligneo: si tratta di uno strumento proprio dell’antica cultura edile nubiana, ripreso e valorizzato dall’architetto egiziano Hassan Fathy.
L’insegnamento del maestro Fabrizio Caròla
Da buon architetto, Caròla è sempre stato attento al territorio e ha guardato ai luoghi marginali come un punto di ripartenza per una nuova visione della società e del costruire.
L’architettura deve essere strumento di sviluppo e di miglioramento per la nostra vita; la materia diventa elemento del comporre, la forma soluzione che accompagna i gesti e le necessità dell’uomo.
Serena Giuditta