Rigenerazione urbana è la nuova parola d’ordine del fare urbanistica rigenerando luoghi. Dall’inglese urban regeneration, questa pratica si riferisce innanzitutto a quelle azioni di recupero e riqualificazione del patrimonio edilizio preesistente. L’oggetto della rigenerazione urbana delle città sono per lo più le periferie più degradate o i centri storici abbandonati.
La rigenerazione urbana degli edifici o degli spazi
Rigenerare, lo dice il termine stesso, significa approcciarsi all’evoluzione di un tessuto edificato e non, grazie a una serie di continue demolizioni, ricostruzioni e rifunzionalizzazioni delle sue parti tenendo conto delle specifiche necessità del contesto.
Gli interventi che riguardano la rigenerazione urbana limitano anche il consumo del territorio salvaguardando il paesaggio e l’ambiente, solitamente attenti alla sostenibilità.
Spesso la rigenerazione architettonica è affiancata da interventi di tipo culturale, sociale, economica e ambientale: queste azioni sono finalizzate ad un miglioramento della qualità della vita, nel rispetto dei principi di sostenibilità ambientale e di partecipazione.
Come nasce la rigenerazione urbana in Italia
Storicamente è possibile individuare tre cicli di questo fenomeno che si è diffuso in Italia fino ad oggi.
Il primo ciclo ha visto una fase di riqualificazione dei centri storici, attualmente non ancora ultimata, e ha avuto inizio durante gli anni ’70 quando si è avuta una presa di coscienza del valore del tessuto edilizio storico, nonché di una voglia di riaffermare la propria identità locale.
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Il secondo ha compreso il recupero delle aree dismesse, attualmente ancora in corso. Questa fase ebbe inizio a partire dagli anni ’80, quando ha avuto inizio la delocalizzazione delle industrie e di molti altri servizi dai centri urbani. Altro fattore scatenante per la rigenerazione urbana furono le aree demaniali che con la loro estensione superficiale iniziarono a costituire un problema diventando dei “vuoti urbani” da riempire.
La terza fase della rigenerazione urbana in Italia, ovvero la fase odierna, è quella che prevede la riqualificazione dei quartieri residenziali costruiti nella seconda metà del ‘900. Pratica lenta e puntuale poichè non è semplice rigenerare quartieri residenziali costruiti con criteri di bassa qualità edilizia, architettonica e urbanistica, nonché dare sostegno a politiche di mobilità sostenibile e servizi come attrattori per ripopolare le aree dismesse.
La legislatura per attuare una rigenerazione urbana
L’urbanistica è una disciplina che studia il territorio antropizzato ed ha lo scopo di progettare lo spazio urbano attraverso una pianificazione organica delle trasformazioni del territorio incluso nella città o collegato con essa.
Ciò implicitamente rimanda a tutta una serie di norme che regolamentano questo processo di grande responsabilità per i pianificatori del territorio.
In Italia la rigenerazione urbana è regolamentata a livello regionale da appositi piani di recupero: gli strumenti più utilizzati sono (i vecchi) P.R.U. (programmi di riqualificazione urbana), sostituiti dai P.R.U.S.S.T. (Programmi di Recupero Urbano e Sviluppo Sostenibile del Territorio) che sono, come cita la normativa che li descrive, “programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio promossi dal Ministero dei lavori pubblici con l’obiettivo di realizzare, all’interno di quadri programmatici organici, interventi orientati all’ampliamento e alla riqualificazione delle infrastrutture, all’ampliamento e alla riqualificazione del tessuto economico-produttivo-occupazionale, al recupero e alla riqualificazione dell’ambiente, dei tessuti urbani e sociali degli ambiti territoriali interessati.”
Come realizzare praticamente una rigenerazione urbana
In termini più pratici per poter attuare un intervento di rigenerazione urbana è fondamentale la consultazione non solo con gli enti locali, ma anche con gli utenti delle aree considerate e agli operatori che gravitano su quelle aree per vari motivi.
In seguito bisognerà valutare i bisogni e le aspettative di utenti e stakeholders, nonché le potenzialità di un luogo: va considerata anche la capacità di resilienza di un ambito su cui andare a operare.
A quel punto si sceglieranno gli strumenti urbanistico/edilizi, di programmazione socio-economica e tutti gli approcci analitici di dettaglio utili al raggiungimento dello scopo.
L’ISPRA (ex APAT) ha messo a disposizione sul proprio portale un vademecum dei principali strumenti di sostenibilità di cui possono servirsi gli enti locali. Questo vademecum a sostegno della rigenerazione urbana è nato dalla convenzione tra ISPRA e Associazione Nazionale Coordinamento Agende 21 Locali Italiane.
L’obiettivo di questo strumento è facilitare a livello locale la concreta attuazione dei programmi di recupero e rigenerazione urbana integrandoli con gli strumenti di programmazione e di controllo obbligatori.
Rigenerazione urbana significa green
Rigenerare i luoghi al margine significa non voler perderne i connotati. Significa salvaguardare quel tessuto umano, sociale, costituito da una serie di fattori immateriali che compongono l’identità della città.
L’approccio migliore per poter mettere in risalto il tessuto urbano è migliorare e/o integrare il verde naturale nelle città. Non si tratta di una mera percentuale da rispettare su carta: parliamo di restituire luoghi vivibili alle persone, una qualità della vita migliore per la salute e lo spirito.
La progettazione del verde è una grande responsabilità per i pianificatori ma una grande risorsa per gli abitanti.
Rigenerazione urbana è dunque un metodo e non uno strumento: ogni luogo, quartiere o città posseggono connotati e peculiarità unici e, in quanto tali, necessitano di analisi e interventi ad hoc.
In Italia abbiamo bisogno ancora di grandi trasformazioni, dalle aree rurali a quelle metropolitane: per fare questo bisogna preferire programmi innovativi più complessi, poichè affrontano e intendono risolvere i nuovi problemi della città contemporanea.
Serena Giuditta