Alessandro Mendini e la necessità di trovare un significato negli oggetti
Quando piove, molto spesso, si ha la sensazione che il mondo, con tutte le innumerevoli esistenze contenutevi, possa assumere un aspetto diverso; come se l’acqua, gocciolando, fosse in grado di lavare via i più intimi significati che conferiamo alle cose.
Non è una bel sentire. E non lo è perché, quando accade, abbiamo la percezione di perdere quel qualcosa di significativo, di vibrante e vivo che, magari, fino al giorno prima eravamo stati soliti percepire in quello che cadeva sotto il nostro sguardo.
Questo qualcosa di significativo, come lo abbiamo più sopra definito, altro non è che un’essenza, finanche un’anima che, dietro alle cose, si rivela ai nostri occhi come irrompendo dalla materia, attraversandola, fino ad arrivare a noi, grazie a noi.
Ovviamente, non ogni singolo oggetto è destinato a questa vivificazione. È impossibile. Non sarebbe molto agevole abitare in un mondo in cui nulla conservasse quella mera oggettualità funzionale all’utilizzo per la vita.
Non è, d’altra parte, nemmeno auspicabile un habitat di soli oggetti sacrificabili e assimilabili a dei mezzi per raggiungere uno scopo, qualsiasi esso sia (abitativo, di sussistenza, di arricchimento ecc.); ciò che davvero conta, prima di tutto, è riservare uno spazio, una bolla intimamente significativa, soprattutto ad alcuni degli oggetti che ci circondano. E la selezione dei “predestinati” risulta essere quasi casuale, non sempre scelta, soprattutto nel caso di enti da noi indipendenti e slegati.
È per una circostanza del tutto fortuita, ad esempio, che la magnolia fuori dalla finestra di un liceo possa essere, per uno studente, non una semplice pianta, quanto, piuttosto, un longevo compagno di avventure che, quotidianamente, ha con lui condiviso ogni singola versione, espressione, interrogazione, carezza e sigaretta di cinque anni di vita.
Ritrovare, in quei fiori bianchi, dopo dieci, venti, trent’anni, lo stesso amico dei giorni passati è indescrivibile. Riempie il cuore di calore, gioia e dolore.
Lo stesso dovrebbe accadere, e in questo caso non fortuitamente, proprio per quegli oggetti che sono da noi prodotti.
Ogni romanzo, poesia, dipinto, melodia, schizzo o creazione artigianale ha, per lo meno si spera, un significato profondo, un’anima quasi, per chi lo ha messo al mondo. Si è un po’ come madri di figli la gestazione dei quali è unicamente spirituale.
Eppure, se ci guardiamo attorno e diamo ascolto a chi, il mondo lo conosce meglio di noi, ci verrebbe da chiedere: siamo sicuri che, al giorno d’oggi, sia così diffuso il senso del significato profondo da conferire agli oggetti nati dalla creatività umana?
Se, cercando una risposta affermativa, ci rivolgessimo ad Alessandro Mendini, uno dei più noti architetti, designers e artisti italiani che, nel corso della propria vita, ha collaborato con testate del calibro di Modo, Casabella e Domus, potremmo scoprire una realtà abbastanza complessa.
Prima di tutto, constateremmo che le grandi ideologie, alla base del design e dell’arte degli anni passati, sono scomparse e che il significato estetico ( ovvero ciò che possiamo percepire e vivere osservando un oggetto artistico e di design ) non è più la priorità per i designers o architetti contemporanei.
Quando si costruisce un nuovo grattacielo in un’enorme e già affollata metropoli, ad esempio, la domanda più sensata da farsi potrebbe essere: sono sicuro di operare come se fossi alla prese con una scultura? Con un oggetto che rimanda a un significato profondo, un’interiorità che si lascia conoscere prendendo vita?
Il trovare una risposta negativa a un simile quesito dovrebbe indurci a cambiare strada, a non seguire unicamente la via economica anche se, come affermato dallo stesso designer milanese, a volte, le grandi industrie del lusso, grazie alle proprie commesse, permettono la sopravvivenza delle botteghe artigianali.
Come ha infatti affermato in una recente intervista a La Stampa:
«Un archistar occidentale che costruisce un grattacielo a Shanghai porta un’enorme ferita nella città, perché il vero obiettivo dell’operazione è economico: speculazione, non architettura. E i grandi grattacieli sono quasi sempre operazioni di questo genere. D’altra parte un architetto deve fare i conti con la sua moralità, e secondo me una via di riscatto possibile è pensare a un grattacielo come una scultura, renderlo un’operazione di stilismo estetico. Ma attenzione, pur partendo da un intento speculativo i risultati possono essere positivi, ad esempio in campi come il lusso: gli artigiani parigini che lavorano perline, piume di struzzo, cuoio, sarebbero costretti a chiudere le loro botteghe, se non fosse per le commesse che arrivano da Louis Vuitton»
Ruffilli, Bruno. “Alessandro Mendini: “I miei oggetti nascono dalle parole”. La Stampa 09/12/2017. 09/04/2018
Quello che davvero conta, alla fine, è di essere almeno certi della bontà dell’opera, di produrre edifici/oggetti dotati di un certo significato o anima e non solo atti a un mero utilizzo: i grandi complessi popolari che costellano le nostre periferie dovrebbero, in questo caso, costituire un esempio di quanto non si dovrebbe in ogni modo fare, se non per la salute ambientale, per lo meno per quella umana.
Il significato degli oggetti: il caso della Poltrona Proust
Tornando a quanto stavamo scrivendo in precedenza, Alessandro Mendini, al fine di sottolineare l’importanza di conferire un’anima a quanto si produce (opere di architettura e design nel suo caso specifico), ha espressamente riferito di assegnare, tramite un preciso metodo operativo, un significato negativo o positivo alle sue opere, proprio come se fosse alle prese con la stesura di un copione teatrale, all’interno del quale le proprie creazioni divengono personaggi.
In quale modo?
Per rispondere il più semplicemente possibile, basta richiamare alla nostra attenzione una delle più note e apprezzate poltrone di sempre: la Poltrona Proust, da lui disegnata e progettata nel 1978.
Quello che davvero conta, nell’opera presa in esame, oltre alle linee palesemente barocche, è il modo con il quale Mendini ha deciso di decorarla: una pioggia studiata di puntini colorati che richiamano il Puntinismo di Paul Signac.
Si è deciso, poco sopra, di utilizzare l’aggettivo “studiata” proprio perché, come nella famosa scuola francese, ogni punto è posto nella precisa posizione atta a garantire la perfetta visione d’insieme. Solo se ogni punto è buono, l’opera, nel suo complesso, è buona; proprio come dovrebbe accadere nella società.
Ecco il significato che soggiace alla Poltrona Proust: la positività di un oggetto che, per essere tale, abbisogna della collaborazione delle parti. Esattamente come con l’umanità.
Per concludere, sembra che, vedere nel mondo che ci circonda, con i suoi alberi, animali, uomini e oggetti qualcosa di più di un semplice aggregato di materia, qualcosa di vivo e significativo, possa essere la sola via d’uscita, oltre la quale trovare, finalmente, la serenità di un adeguato e sano abitare.
Dopotutto, se in un luogo unicamente geografico si vive, in un ecosistema si CONVIVE.
Simone Fergnani