In Italia, non esistono, ad oggi, specifiche normative sul co-housing. Chi desidera aderire o farsi promotore di una realtà socio-abitativa di questo tipo, deve affidarsi a norme generiche, relative, ad esempio, alla gestione dei condomini tradizionali o alle cooperative.
Le poche regolamentazioni specifiche esistenti fanno riferimento a situazioni particolari, come quelle facenti riferimento ai soggetti disabili o agli anziani.
Anche in questi casi però non si può parlare di vere e proprie norme, quanto piuttosto di leggi e linee guida volte a favorire e sostenere i progetti di co-housing in favore di soggetti svantaggiati.
Che cos’è il co-housing?
Prima di addentrarci in questioni burocratiche e istituzionali, cerchiamo di capire che cosa si intende, esattamente, con “co-housing”.
Pur non esistendo un termine italiano in grado di definire tale fenomeno, è possibile descriverlo come una scelta abitativa che prevede la condivisione di alcuni spazi tra più nuclei familiari, senza però che questi debbano rinunciare a disporre di un’unità abitativa privata.
Andando ad analizzare più nel dettaglio le realtà di co-housing già esistenti, si nota che si tratta, nella maggior parte dei casi, di veri e propri condomini, nei quali sono presenti abitazioni private, ma anche spazi condivisi, come la cucina, il salotto, il magazzino, la palestra, la lavanderia, gli spazi di lavoro e via dicendo.
Gli ambienti in comune possono variare a seconda del tipo di realtà e delle finalità del gruppo, ma in generale portano a una condivisione che non si limita agli spazi in sé, ma che si estende alle attività, al soddisfacimento delle reciproche necessità e alla fruizione di servizi in comune.
All’interno di un co-housing, possono essere attivati, dai condomini stessi e in base alla volontà condivisa, servizi di condivisione dei mezzi di trasporto, organizzazione per portare i bambini a scuola, spesa in comune e molto altro ancora.
Le origini del co-housing
Il co-housing, da non confondere con il social housing, non è certo un fenomeno moderno. Le sue origini possono essere fatte risalire agli anni Sessanta e, più esattamente, al 1964. Il luogo d’origine è la Danimarca e il padre di questa idea innovativa di abitazione condivisa è l’architetto Jan Gødmand Høyer.
Nei decenni successivi la formula venne ripresa da più gruppi e comunità e via via perfezionata, diffondendosi soprattutto nel nord Europa e negli Stati Uniti.
L’Italia ha impiegato qualche decennio prima di cominciare ad aprirsi a questa nuova realtà, tanto che i primi esempi di cohousing hanno visto la luce, nel nostro Paese, solo intorno ai primi anni del XXI secolo.
Probabilmente è proprio a questo ritardo che si deve, allo stato attuale delle cose, l’assenza di specifiche normative sul co-housing in Italia, assenza che – è d’obbligo sottolinearlo – non esiste in quei Paesi nei quali il fenomeno è già ampiamente consolidato e diffuso.
Normative sul co-housing: cosa stabilisce la legge?
Nonostante questo ritardo a livello legislativo, chi decide di aderire a un co-housing non è lasciato totalmente in balia del caso.
Tra le norme alle quali è possibile fare riferimento per organizzare una realtà di questo genere o per districarsi all’interno di essa, rientrano quelle relative alla gestione delle parti comuni nei contesti condominiali, facilmente reperibili nel Codice civile.
Chi invece desidera promuovere un’iniziativa di questo tipo, dando vita ad una comunità di co-housing, può invece fare riferimento alle norme inerenti alle cooperative edilizie, ma anche le associazioni culturali o le fondazioni.
Dato che ogni caso è a sé e le norme risultano ancora poco chiare e piuttosto confuse, è sempre preferibile chiedere un consiglio a consulenti esperti del settore prima di avviare il progetto.
Co-housing e disabilità
Sebbene le normative sul co-housing in Italia siano praticamente inesistenti, è possibile rintracciare alcuni riferimenti a questo fenomeno nella legge 112/2016, la quale istituisce un Fondo Nazionale per fornire assistenza ai soggetti con gravi disabilità che non dispongono di un sostegno familiare.
Il testo pone l’attenzione sulla realizzazione di servizi residenziali anche nella forma del co-housing, i quali consentano alle persone ospitate di poter contare sull’aiuto reciproco oltre che su formule di condivisione e supporto volte ad aumentarne l’autonomia.
Normative sul co-housing per gli over 65
Anche il Senior Housing, ossia il cohousing destinato ai soggetti anziani può vantare alcuni riferimenti legislativi, i quali, comunque, non assumono nemmeno in questo caso la forma di vere e proprie norme.
La legge di riferimento è, in questo caso, la 234 del 2021, la quale tratta principalmente dell’istituzione di un fondo destinato ai progetti coabitativi e volto a sostenere e perseguire “il miglioramento della qualità della vita delle persone anziane e il contrasto alla solitudine domestica e alle difficoltà economiche”.
Le nuove normative sul co-housing per giovani e anziani
Attualissima è infine la Legge Delega per gli anziani, la quale getta le basi per un co-housing volto a favorire la convivenza tra anziani e generazioni più giovani.
Entrata in vigore nel marzo 2023, è pensata per garantire a tutti una vecchiaia attiva e dignitosa, nella quale l’autonomia delle persone venga salvaguardata attraverso soluzioni ad hoc, tra cui, per l’appunto: “La promozione di nuove forme di coabitazione solidale per le persone anziane e di coabitazione tra le generazioni, anche nell’ambito di case-famiglia e condomini solidali, aperti ai familiari, ai volontari e ai prestatori di servizi sanitari, sociali e sociosanitari integrativi”.
I vantaggi del co-housing
Sebbene non sia ancora pienamente regolamentato nel nostro Paese, il co-housing è già una realtà concreta, destinata a crescere anche grazie alla sua capacità di rispondere pienamente ad alcune delle esigenze del vivere moderno.
Le soluzioni socio-abitative di cohousing risultano essere sostenibili, sia dal punto di vista sociale sia sotto il profilo ambientale.
Per quanto riguarda il primo aspetto, favoriscono l’integrazione, la cooperazione e l’aiuto reciproco, fornendo ai soggetti svantaggiati la possibilità di accedere a servizi utili, come car sharing o bike sharing, o fondamentali, l’acquisto solidale, attraverso la suddivisione delle spese.
La sostenibilità ambientale è invece garantita dal minor dispendio di energia e risorse garantiti proprio dalla condivisione di spazi e servizi.
In secondo luogo, il co-housing risulta più economico rispetto alle soluzioni abitative tradizionali, venendo così incontro alle difficoltà crescenti di giovani e famiglie che devono costantemente confrontarsi con l’inflazione, gli stipendi bassi e il lavoro precario.
Tra i numerosi altri vantaggi è possibile includere l’elevata sicurezza, la possibilità di collaborare nelle faccende quotidiane o nella crescita dei bambini, il non dover rinunciare alla propria privacy e l’assenza di ruoli gerarchici.
Normative sul co-housing in Italia: le sfide da affrontare
Chi decide di vivere in un condomino in co-housing si trova certo a poter godere di numerosi vantaggi, ma deve anche rivedere totalmente il proprio stile di vita e le proprie abitudini, al fine di adattarle al contesto nel quale si trova a vivere.
Oltre a questo, se si tratta di un contesto nascente, i problemi potrebbero essere ancora superiori e, sebbene non siano causati esclusivamente dall’assenza di normative sul co-housing chiare e ben definite, il vuoto legislativo non è d’aiuto.
Dagli aspetti burocratici alla suddivisione dei compiti e delle risorse, fino alla capacità di vivere e condividere tempo e ambienti, le sfide da affrontare sono numerose, ma, come dimostrano le tante realtà diffuse nel nord Europa e nel nord America, nonché le testimonianze di chi, il co-housing, lo ha già vissuto, se si dispone di sufficiente elasticità e predisposizione alla condivisione, può davvero valere la pena affrontarle, anche in attesa di norme specifiche.