Quando penso al Lago di Varese, inevitabilmente, sento, nelle narici, un odore oleoso, quasi dolciastro e, da qualche parte nella mia mente, il frusciare delle canne al vento. È esattamente come, per chi è nato e cresciuto in una città di mare, il sapore della salsedine tra i denti o il luccichio delle lamiere di una nave cargo più in là, dove il cielo tocca le acque.
Essere sentimentali, infatti, è bello poiché confortante; lascia intravedere solo ciò che quadra con una certezza matematica. Ma siamo sicuri che un simile atteggiamento vada sempre bene?
In questo articolo si vuole scommettere di no, asserendo, invece, come possa essere più utile sottolineare le criticità, nello specifico inerenti il lago di Varese, piuttosto che dimenticarle.
In generale infatti, mettere a fuoco i problemi, isolarli, comprenderli e agire per porvi rimedio è il miglior modo per mantenere i piedi ben saldi in terra e, proprio su questa terra, costruirsi un habitat migliore.
… Ma prima, una piccola introduzione
Il lago di Varese, noto per il fatto di possedere la caratteristica forma di una scarpa, è adagiato ai piedi delle Prealpi a un altezza di 238 mt. sul livello del mare.
A dispetto di quanto si possa immaginare, un dato risulta molto interessante:
Habitanti, lo sapevate che è il decimo lago italiano per estensione interamente contenuto nei confini nazionli? Siamo pronti a scommettere che no, non lo sapevate!
Se poi, per un eccesso di zelo, volessimo includere anche i laghi condivisi con la Svizzera (Lago Maggiore e Lago di Lugano), il Lago di Varese si verrebbe a trovare al dodicesimo posto. Mica male per un laghetto che, volente o nolente, si ritrova a interpretare il ruolo di vicino di casa di ben più ingombranti specchi d’acqua!
A parte le, a quanto pare, notevoli dimensioni del Lago di Varese ( diciamo « a quanto pare » perché, ve lo assicuriamo, chi abita sulle sue sponde non ha la minima percezione che si tratti di uno dei più grandi laghi d’Italia ), di riconosciuta importanza sono senz’altro le due società di canottaggio che ivi trovano dimora: la Canottieri Varese, fondata nel 1927 e la Canottieri Gavirate, presente dal 1960.
Si intuisce facilmente, dunque, la naturale vocazione sportiva di questo lago; una vocazione che gli è valsa la possibilità, in passato, di ospitare eventi canoistici di notevole rilievo quali: La Coupe de la Jeunesse 2007, i Campionati Europei Assoluti 2012, i Campionati Europei Master 2013, i Campionati Mondiali under 23 2014 e le Coppe del Mondo 2015 e 2016. Recentemente poi, il Lago di Varese è stato nuovamente scelto per ospitare la Coppa del Mondo 2020.
Giunti a questo punto, uno sguardo sulla sua formazione e l’habitat che contribuisce a costituire sembra essere d’obbligo.
Uno specchio d’acqua e un’isola dai rilevanti interessi floro-faunistici
Quando 15.000 anni fa, il ghiacciaio del Verbano si ritirò, la sua azione, non solo contribuì a delineare i contorni dell’attuale Lago di Varese, ma, lasciò anche emergere il suo elemento più interessante: l’Isolino Virginia.
Nota originariamente come Isola di S. Biagio e, dopo, come Isola di Donna Camilla Litta, assunse il nome attuale solo nel 1878.
Come sopra accennato, il luogo risulta essere il più interessante del Lago di Varese poiché, nella seconda metà del XIX secolo, vi vennero ritrovati resti palafitticoli preistorici. Proprio per questo, il sito, dal 2011, rientra tra i luoghi protetti dall’UNESCO.
L’isolino Virginia, insieme con la Palude Brabbia, sita tra il Lago di Varese e di Comabbio, è molto importante in quanto sede di riproduzione di un’enorme varietà di uccelli. Tra un intricato aggrovigliarsi di canne, salici e ontani è infatti possibile ammirare specie ornitologiche di grande pregio: moretta, canapiglia, airone rosso e il tarabuso.
Per quanto riguarda la presenza ittica, invece, ricordiamo: il persico reale, l’anguilla, l’alborella, il pesce gatto e i gamberi della Louisiana, da poco introdotti.
La salute della acque del Lago di Varese: una storia problematica
Fin qui ci siamo volutamente concentrati sulla storia del Lago di Varese, sui suoi tesori e le sue bellezze. Ora, come ci siamo proposti fin da principio, cercheremo di scendere nel dettaglio di quei problemi legati all’inquinamento delle sue acque. Solo così potremo davvero comprendere quanto sia delicato l’equilibrio dell’habitat nel quale viviamo.
Chi è nato e cresciuto sulle sue rive, conosce molto bene i tradizionali racconti che descrivono la limpidezza e la freschezza delle sue acque, un tempo in cui l’azzurro delle stesse si confondeva con il cielo. Quei tempi sembrano andati per sempre.
Nel 2015, infatti, dopo quattro anni di risultati negativi consecutivi, secondo la legge europea, il Lago di Varese sarebbe da definirsi inevitabilmente spacciato.
Oltre agli inutili allarmismi derivanti da simili leggi calate dall’alto, che nulla avrebbero a che fare con la vita reale, il problema esiste, e individuarne le cause è già un buon punto da cui partire.
Detto questo, sappiamo che i problemi iniziarono negli anni ’60, quando, lo sviluppo urbanistico, unito a un’incredibile crescita industriale modificò la composizione fisico-chimica della acque del lago. Ingenti quantità di liquidi non depurati furono, infatti, ivi riversati impunemente e continuativamente.
Con il passare del tempo, gli scarichi industriali illegali, trovando nella Provincia un valido antagonista, furono perlopiù contrastati. Così oggi, risolto un problema, ci si ritrova inevitabilmente a doverne fronteggiare un altro, paradossalmente, di più difficile risoluzione: l’inquinamento derivante dagli scarichi ufficiali, di tipo fognario.
Gli scarichi fognari come principale causa dell’inquinamento del Lago di Varese
Come abbiamo già avuto modo di intuire, l’inquinamento delle acque del Lago di Varese non deriva dunque da sostanze tossiche pesanti quali i metalli e il mercurio. Il vero problema, incredibilmente, deriva da un’eccessiva presenza di materia organica che, alimentando a dismisura la produzione biologica primaria, crea l’eutrofizzazione delle acque.
Al fine di evitare la tracimazione delle acque fognarie all’interno del lago, tra il 1986 e il 1988, venne costruito un ingegnoso sistema di collettori circumlacuali, collegati a un depuratore sito a Gavirate, che però, con il passare del tempo e lo sviluppo urbano, lasciarono intravedere i loro limiti.
Infatti, dopo un certo periodo di tempo, entro il quale la situazione sembrava davvero essere sulla via della risoluzione, oggi, lo stato di fatto è ancora lontano dall’essere soddisfacente.
L’unica iniziativa percorribile, come suggerito da qualcuno, potrebbe essere quella di separare le acque scure dalle bianche. La più percorribile tra le iniziative oggi proposte. Un’iniziativa, però, che tuttora tarda a essere presa a causa delle ristrettezze economiche in cui versano i Comuni, ma, di fatto, l’unica davvero in grado di evitare la tracimazione delle acque reflue nel lago a ogni acquazzone.
Anche le vie più percorribili, a volte, risultano irraggiungibili.
Il Lago di Varese: solo un esempio della fragilità dell’ecosistema
Certo, nel corso di questo articolo, avremmo potuto optare per una narrazione che puntasse a descrivere le spiagge lacustri più belle, più evocative e in cui l’acqua trasparente lascia intravedere sassolini argentati sul fondo, ma non l’abbiamo fatto. Non sarebbe stato difficile, poiché i luoghi non mancano, ma, alla fine, si è deciso di mostrare, tramite un esempio negativo, quanto sia semplice guastare l’ambiente nel quale viviamo.
Come abbiamo potuto notare, i problemi seri non derivano sempre da cause eclatanti, da fatti criminosi riprovevoli. Nella maggior parte dei casi, infatti, è semplicemente la nostra disattenzione, unita a una forte sfiducia nelle nostre potenzialità e risorse a segnare rovinosamente ciò che ci circonda.
Il caso del Lago di Varese, con le sue acque inquinate da più di quarant’anni, dovrebbe servire a tutti noi, Habitanti, come un esempio. Come un racconto formativo che, al momento giusto, ci possa insegnare quanto la bellezza nella quale viviamo sia fugace; un giocoliere che, danzando sulla corda, si ritrovi a precipitare rovinosamente a terra, senza nemmeno essersene reso conto.