L’importanza evocativa dei luoghi
La città è una sinfonia di ricordi e Varese, piccolo spartito scritto al confine con la Svizzera, non fa eccezione.
Ogni palazzo, villa, strada, via, viottolo, acciottolato e angolo che la costituisce è, infatti, come un fulcro intorno al quale gravitano, come attratti da una forza misteriosa, i ricordi dei propri abitanti: il piccolo pozzo retrostante la Basilica di San Vittore, ad esempio, può, ai più, non voler dire assolutamente nulla, mentre, a pochi altri, richiamare alla memoria immagini, voci, sapori e odori di giorni oramai trascorsi.
Al pari di qualsiasi altro centro abitato, comunque, alcuni luoghi della Città Giardino, proprio a causa della centralità esercitata sull’immaginario collettivo, sarebbero in grado, ben più di altri, di fungere da polo d’attrazione per le memorie di migliaia di persone: i giardini pubblici di Palazzo Estense, attuale sede del Comune, la Torre Civica, punto di ritrovo serale per la movida, la già citata Basilica di San Vittore che, con la sua piazza antistante, accoglie il domenicale chiacchiericcio dei fedeli all’uscita dalla messa e le innumerevoli ville, parchi e giardini che, con la loro presenza, contribuiscono a distillare, da secoli, l’essenza della varesinità.
Villa Torelli-Mylius, uno dei tanti segmenti della bussola esistenziale varesina, è il particolare luogo sul quale cercheremo di concentrare la nostra attenzione nel corso di questo breve articolo.
Excursus storico sulla Villa Torelli-Mylius
Con il suo vasto giardino paesaggistico-romantico si adagia sulla base del Colle dei Miogni Inferiori, affonda le radici della propria esistenza in un tempo dove, a Varese, era presente una forte vocazione religiosa della quale, ai nostri giorni, resta solo una traccia parzialmente sbiadita.
Sappiamo infatti, dalla consultazione dei documenti catastali, che l’esteso appezzamento di terra oggi occupato dalle proprietà della Villa fu il luogo in cui, fino al 1773, sorgevano una casa da massaro con orto e un sito di casa appartenenti ai Padri Gesuiti di Varese; una più piccola porzione di terreno restante, poi, risulta essere stata di proprietà delle Monache di S. Maria del Monte.
In seguito all’espropriazione avvenuta nel 1773, su iniziativa della famiglia Torelli, i nuovi proprietari, l’edificio cominciò a essere sottoposto alle prime importanti modifiche: durante i primi anni del 1800 venne eseguito un notevole ampliamento, l’adibizione del pian terreno a filanda e, grazie alle cartografie catastali, apprendiamo inoltre che, nel 1861, il complesso fu registrato in parte come casa colonica e parte come casa di villeggiatura.
Nel 1905, con l’acquisto delle proprietà dell’ ing. Enea Torelli da parte del cav. Carlo Giorgio Mylius, un industriale tessile, cominciò per la Villa un periodo di grandi cambiamenti; cambiamenti che, un poco alla volta, l’avrebbero portata ad assumere l’attuale conformazione di villa di Delizia, abbandonando, una volta per sempre, la precedente vocazione agricola: è infatti da collocarsi tra il 1907 e il 1934 la realizzazione dell’attuale parterre con fontanella centrale, mentre, è nei primi anni del 1900 che dovremmo guardare, qualora fossimo interessati a rintracciare l’inizio del complesso rimodellamento dei giardini progettati da Achille Majnoni d’Intignano, noto architetto e paesaggista milanese.
Infine, in anni relativamente recenti, precisamente dal 1946, anno in cui l’industriale Achille Cattaneo decise di comprare la Villa dai discendenti del cav. Mylius, sono stati avviati gli ultimi importanti processi di modifica dell’edificio e del giardino di proprietà: il suggestivo porticato sormontato dal terrazzo con balaustra, il campo da tennis, nella zona meridionale dei giardini, realizzato negli anni ’80 e l’iconica piscina del famoso paesaggista Pietro Porcinai.
Nel 2007, con l’obbligo di utilizzare la struttura unicamente per attività di promozione culturale e di destinare i giardini, intitolati ad Achille Cattaneo, a parco pubblico, la famiglia dell’industriale ha infine deciso di donare la proprietà al Comune di Varese. È proprio grazie alla lungimirante opera di questi uomini se tutti noi, oggi, possiamo permetterci di ammirare tali delicate bellezze.
Nei giardini della Villa: il profumo come vincolo per la memoria
Già l’olea fragrante nei giardini
d’amarezza ci punge: il lago un poco
si ritira da noi, scopre una spiaggia
d’aride cose,
di remi infranti, di reti strappate.
E il vento che illumina le vigne
già volge ai giorni fermi queste plaghe
da una dubbiosa brulicante estate.
Nella morte già certa
cammineremo con più coraggio,
andremo a lento guado coi cani
nell’onda che rotola minuta.
Vittorio Sereni, Settembre
I giardini di Villa Torelli-Mylius, uno degli innumerevoli esempi della capacità umana di imprimere dolci armonie al proprio habitat, sono ben più di un mero insieme di piante e fiori, di un passeggero capriccio dei proprietari che lo hanno voluto; rappresentano la perfetta sintesi di colori, odori, immagini e sensazioni operata nel rispetto delle necessità ambientali.
I criteri progettuali che hanno ispirato l’attuale conformazione dei giardini, infatti, sono stati dettati dalla preziosa presenza di una fauna tanto ricca quanto variegata: certa è la presenza di scoiattoli, ghiri, quercini, moscardini, topi selvatici, ricci, toporagni, pipistrelli serotini, cince, verzellini e pettirossi. Da non escludere, invece, la frequentazione del parco da parte della civetta, del gufo e dell’allocco.
Sono stati proprio questi piccoli abitanti a suggerire ad Achille Majnoni d’Intignano la scelta e l’attenta disposizione delle piante presenti che, con le loro molteplici origini, sono in grado di trasmettere all’uomo che le osservi fantasticherie e suggestioni di terre lontane.
Una pianta soprattutto, tra i molti platani, faggi, pecci e cedri dell’Himalaya, proprio per la particolarità di fiorire quando tutte le altre sono perlopiù alla fine del proprio ciclo vitale, colpisce chi si ritrovi a passeggiare per il parco sul finire dell’estate: l’Osmanto odoroso, un arbusto sempreverde originario della Cina e portato in Europa dal botanico francese Jean Marie Delavay in anni relativamente recenti, intorno alla metà del 1800. Da allora, mai sembra essersi stancato di profumare i giardini europei, quelli delle ville sparse tra i laghi della Lombardia in particolare.
È incredibile come un profumo ci possa tanto inscindibilmente vincolare a un luogo, come possa indurci a tornarvici pur di lasciarsi inspirare, ancora una volta, nei nostri polmoni. E ogni volta è come tornare al primo istante in cui lo abbiamo percepito, alla situazione alla quale la nostra memoria lo lega.
È per un caso del tutto fortuito infatti, certamente non ricercato, se, a chi scrive, ricorda un tardo pomeriggio di una giornata di fine estate di quasi dieci anni fa. Una giornata nitida, dalla luce rosso-scura che, giocando con l’azzurrino del fumo di una sigaretta, lasciava ammirare, come un papavero tra i fili d’erba, il campanile della Basilica di San Vittore; punto di fuga privilegiato per lo sguardo di un gruppo di amici in cerca del proprio orizzonte, più in là, oltre una balconata di ferro battuto e pietra.
È trascorso molto, troppo tempo, eppure, ancora oggi, il profumo di questo piccolo fiore bianco-arancio riesce a dissolvere il presente, farmi retrocedere fino a quegli attimi in cui i visi, le voci e le risate di chi c’era persistevano davvero, non solo nella mia mente. Fino a quel giorno, del tutto sconosciuto mi era rimasto il potere evocativo dei profumi.
Come ebbe a dire un poeta cinese della dinastia Song, un certo Yang Wanli, a proposito dell’osmanto odoroso:
« L’osmanto contrariamente ad altri fiori dal bouquet troppo delicato o troppo intenso, presenta un profumo che rinfresca l’aria ma sufficientemente intenso da diffondersi per miglia di distanza. E’ difficile credere che questo fiore sia opera della natura e non della luna o del paradiso »
La piscina di Pietro Porcinai
Uno degli elementi più interessanti, ma di cui si sa ben poco, è la grande piscina di 25 mt, della quale abbiamo più sopra velocemente accennato, posta nella parte più alta dei giardini di Villa Mylius, sulla sommità del colle dei Miogni, e che è possibile incontrare abbandonando la zona maggiormente frequentata dai visitatori.
I lavori per la realizzazione dell’opera, come risulta dalla corrispondenza tra il cav. Achille Cattaneo e il paesaggista Pietro Porcinai, sarebbero da collocare intorno alla metà degli anni ’50 e, nel corso di pochi anni, diedero vita a una delle piscine più iconiche di Varese: nei documenti, risulta essere stata progettata ispirandosi alle forme di un albero ma, da qualche tempo a questa parte, soprattutto tra i più giovani, ha fatto parlare di sé a causa dei vaghi richiami di carattere fallico.
La piscina infatti, composta da una lunga vasca centrale posta in corrispondenza di altre due di forma circolare, pensate per il collocamento delle piante acquatiche, sarebbe stata commissionata dall’allora proprietario della Villa unicamente per suscitare piccanti fantasie e lievi intriganti rossori sulle guance a una nota attrice degli anni ’50.
Ma, come abbiamo già detto, di quest’opera di Porcinai si sa davvero troppo poco; molte delle storie che si sentono in merito hanno il gustoso sapore della leggenda e non della verità. Ma, a chi guarda quella piscina, non importa.
Dopotutto, quello che davvero conta, quando la si domina dall’alto del trampolino, è il sentirsi tremendamente solidali con lo scopo del committente, pensare che « no, non avrebbe mai potuto avere un’idea migliore! » e rivolgergli, in ultimo, un’immaginaria pacca sulla spalla mentre, sorridendo beffardi, si cerca, nella sottile balaustra, un precario equilibrio.
Che importanza ha, se è vero oppure no? Le emozioni che si provano sono sempre vere.
Simone Fergnani