Report SDSN: paesi scandinavi sul podio per la sostenibilità in Europa. Italia al 23esimo posto

sostenibilità in europa

Finlandia, Svezia e Danimarca salgono sul podio della sostenibilità in Europa. L’Italia? È solo al 23esimo posto (con un punteggio di 68 su 100), dopo la Spagna e prima della Croazia, nell’elenco di 34 Paesi europei che include anche le nazioni candidate a entrare nell’Unione.

La sostenibilità in Europa

Questa classifica è perfettamente in linea con i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile indicati come prioritari dall’Onu e con il punteggio ottenuto in un indice specifico che si chiama «Leave No One Behind Index», che misura le disuguaglianze rispetto a quattro parametri: povertà, servizi, genere, reddito.

I conti emergono dal nuovo Rapporto sullo sviluppo sostenibile in Europa 2021, realizzato da Sustainable Development Solutions Network (SDSN), rete dell’Onu che mobilita competenze scientifiche e tecniche del mondo accademico, della società civile e del settore privato per sostenere la risoluzione pratica dei problemi per lo sviluppo sostenibile a livello locale, nazionale e globale.

Il report evidenzia anche che, per la prima volta dall’adozione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile nel 2015, nel 2020 il punteggio medio dell’«SDG Index dell’UE» non è aumentato, anzi è leggermente diminuito in media, principalmente a causa dell’impatto negativo del Covid su aspettativa di vita, povertà e disoccupazione.

La situazione italiana

L’Italia? È 23esima. La Finlandia è in cima all’Indice della sostenibilità per i Paesi europei perché è tra le nazioni meno colpite da Covid, soprattutto rispetto alla maggior parte degli altri Paesi della Ue. Gli altri paesi sono indietro soprattutto sui temi della dieta e dell’agricoltura sostenibile, del clima e della biodiversità. Due nazioni come Italia e Spagna, che sono destinatarie di grosse fette dei fondi Ue e che hanno per il 90% obiettivi legati agli Sdgs nei loro piani, sembrano avere minor impatto rispetto a quanto servirebbe.

Le conclusioni del rapporto

“La proposta di un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Cbam), di altri meccanismi di adeguamento e di clausole specchio, e il nuovo regolamento sulla Due Diligence possono aiutare ad affrontare e a monitorare le rilocalizzazioni delle emissioni di carbonio e gli altri impatti negativi causati da catene di approvvigionamento non sostenibili”, spiega il rapporto. “Tuttavia, per evitare la trappola “protezionista”, questi meccanismi dovrebbero essere accompagnati da una maggiore cooperazione tecnica e da un maggiore supporto finanziario per accelerare i progressi verso la sostenibilità nei Paesi produttori, compresi i Paesi in via di sviluppo”.

Il rapporto evidenzia inoltre che strumenti europei come il Multiannual Financial Framework, il NextGenEU e la Recovery and Resilience Facility sono una potenza finanziaria per accelerare la trasformazione dell’UE nel periodo 2021-2027. Tuttavia, le linee guida fornite agli Stati Membri per preparare i loro piani nazionali di recupero e resilienza non includono alcun riferimento agli Obiettivi si sviluppo sostenibile. «Una sfida importante sarà garantire che l’insieme dei piani nazionali di rilancio si aggiunga a trasformazioni coerenti e ambiziose degli Sdgs a livello dell’Ue, compresa la trasformazione dei sistemi energetici e alimentari/del territorio», spiegano gli analisti.

Pillole di curiosità – Io non lo sapevo. E tu?

  • Il Vecchio Continente è responsabile dell’emissione di solo l’8-10% della CO2 a livello globale, e l’Asia che pesa per il 60% ma gli stili produttivi e di consumo europei portano a impatti molto pesanti dal punto di vista ambientale e sociale. Sdsn stima ad esempio che ogni anno, attraverso le importazioni, ad esempio di cemento e acciaio, l’Europa genera emissioni di CO2 in altre parti del mondo, tra cui Africa, Asia-Pacifico e America Latina. Mentre le emissioni domestiche sono diminuite da molti anni nell’UE, le emissioni di anidride carbonica emesse all’estero per soddisfare il consumo dell’UE (le emissioni importate) sono aumentate nel 2018 ad un ritmo più rapido del Pil.

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