Design per il sociale: a Taranto la storia di Abiti dal Mondo

Abiti dal mondo||||||||

Arrivo a Taranto con Ida, una mia amica e collega, non conosco molto la città, ma ogni volta che ho la possibilità di passarci scopro degli scorci nuovi. La città è bellissima, si affaccia su i due mari, ma allo stesso tempo è surreale, alcuni luoghi sono decadenti ma lasciano intravedere la bellezza di cui hanno goduto fino a pochi anni fa, poi l’Ilva ha fatto in modo che si trasformasse in un luogo diverso, meno accogliente, spesso ostile con i suoi stessi abitanti.

Nonostante questo la città cerca di restare viva e di mantenere la sua origine di città portuale, aperta, accogliente. È qui che nasce il progetto di Abiti dal Mondo, dell’O.N.G. Salam guidata dalla presidentessa Simona Fernandez un progetto a carattere sociale che comprende uno store in centro a Taranto e un laboratorio sartoriale chiamato “La Maison de la Mode” in cui alcuni ragazzi richiedenti asilo vengono guidati verso l’autonomia sul lavoro e l’integrazione.

I ragazzi hanno frequentato un corso di sartoria in Italia e realizzano collezioni moda sotto la guida della direttrice creativa Ida Chiatante (IdaKia ArtDirection&Design) e della modellista/sarta Patrizia Solito, il progetto nasce grazie a un piccolo finanziamento di USAIM, realizzato da OIM Italia in collaborazione con O.N.G. Salam. È Ida che oggi mi accompagna in sartoria e in negozio.

 

Come nasce il progetto e quando hai iniziato a lavorare con loro?

L’idea nasce dai ragazzi stessi, intesa come richiesta di poter cucire e aver la possibilità di fare il lavoro che alcuni di loro facevano nei loro territori d’origine. Quindi i ragazzi in accoglienza, minori, hanno espresso il desiderio di avere una macchina per cucire. I mediatori, sono stati molto attenti alle loro aspirazioni e hanno pensato di scrivere il progetto. Così è nato il laboratorio sartoriale “La maison de la mode” progetto in atto da giugno 2017 che nasce grazie a un piccolo finanziamento di USAIM, realizzato da OIM Organizzazione Internazionale delle Migrazioni Italia in collaborazione con O.N.G. Salam, selezionato nel contest Children First: Life Project Award. Con i primi soldi si è riusciti a comprare le prime macchine semi-professionali, alcuni tessuti e i mobili.

Da lì i ragazzi hanno potuto  anche frequentare un corso di formazione in un ente a Taranto chiamato Ars Formandi e hanno conosciuto la maestra Patrizia Solito, ovvero la modellista e sarta che tutt’oggi fa anche da supervisore nel progetto. Dopo il corso di formazione sono subentrata io, c’è stato un incontro: da un lato loro stavano cercando uno stilista per la sartoria, dall’altro, allo stesso tempo, io volevo lavorare nel sociale e fare un’esperienza di questo tipo.

Io sono entrata a giugno del 2017, in quel periodo eravamo tra l’altro anche in un’altra sede nel centro di Taranto e abbiamo cercato nei mesi da luglio a dicembre sia di migliorare costantemente le tecniche, sia di creare per collezione e dare un senso a tutto il progetto. Questo avviene tutt’oggi, in realtà è un processo senza fine, cercare di migliorare le tecniche, i dettagli oppure proprio nei processi logistici e organizzativi. Quindi abbiamo creato la prima collezione in assoluto Africanism ispirata al Gambia, utilizzando i tessuti wax, che sono i tessuti tipici proprio di Senegal e Gambia, che in origine derivano dall’antica tecnica del batic, ma che ad oggi vengono prodotti industrialmente tuttavia mantenendo un legame con la tradizione e con il territorio. Sono tessuti che hanno forti colori e decorazioni e ogni decorazione è una frase che esprime un concetto che riguarda il villaggio dove vivono le persone che producono i tessuti. Molto spesso il tessuto è un segno di resistenza, un modo di parlare e di dire qualcosa senza che nessuno lo sappia, quasi come un messaggio nascosto. – Questo nella tradizione o avviene ancora oggi?- Avviene ancora oggi, anche se comunque oggi il wax viene prodotto da tante aziende quindi alcune mantengono questa tradizione, altre no.

Poi abbiamo creato una collezione che è stata presentata a dicembre al Museo Casa Vestita a Grottaglie, in cui abbiamo utilizzato tessuti Made in Italy con lo scopo di creare una collezione che avesse un significato più concettuale, che mettesse insieme quella che era stata la loro e la mia esperienza e la collezione infatti si chiamava Mare Amare, proprio  perché il mare è l’elemento che ci divide, l’elemento da superare.

Questo il lavoro fino a dicembre, dopo i minori diventati maggiorenni sono diventati gli insegnanti del corso di formazione inerente l’attività di sartoria per gli ospiti SPRAR di Martina Franca entrati nel progetto di sartoria come borsisti.

Anthony al lavoro per una consegna

Come nasce il negozio

Dal 2018 è stata ed è l’Associazione Salam Ong a finanziare tutto e credere nel progetto. A marzo 2018 è stato inaugurato lo store a Taranto con l’avanzamento in Abiti dal Mondo. L’obiettivo è quello di  creare attraverso la moda una sinergia tra l’équipe e il contesto territoriale, portando ad una innovazione sociale ed integrazione. Gli abiti diventano ponte culturale, strumento partecipato e fonte di economia.

La proposta di poter aprire il laboratorio al pubblico è nata perché l’entusiasmo era tanto, abbiamo testato le creazioni e visto che piacevano al pubblico, così abbiamo pensato di aprire il negozio che abbiamo chiamato Abiti dal Mondo, mentre il progetto sartoriale si chiama La Maison de la Mode. Il negozio si trova a Taranto in via Nitti, 46 ed è stato inaugurato a fine marzo alla presenza delle Istituzioni e del Prefetto.

Da gennaio 2018 il progetto Abiti dal Mondo è completamente a carico dell’Associazione Salam e quindi è l’associazione che crede in tutto questo e porta avanti economicamente il progetto.

Anthony e Sahanna

In che modo riuscite a sostenere il progetto?

Il progetto ad oggi non si autosostiene ancora, è l’Associazione Salam che ha determinano di direzionare alcuni dei fondi del CAS della Prefettura e dello SPRAR di Martina Franca sul progetto sartoria. Ma ci auguriamo che presto il progetto diventi auto sostenibile come un qualsiasi progetto imprenditoriale.

Stiamo lavorando all’avvio del progetto come in una qualsiasi attività di start up aziendale, che sia con migranti o con cittadini italiani, l’obiettivo è quello di creare un’attività imprenditoriale capace di creare profitto e sostenere in autonomia sia nella parte della sartoria che in quella del negozio. Dove però la sartoria diventi punto di riferimento anche per la formazione di ragazzi migranti, chiamiamoli così anche se non mi piace questo termine, sia di ragazzi italiani che vorranno intraprendere un percorso di questo tipo.

Da marzo in poi abbiamo cercato di creare degli eventi perché l’intento è quello di trasformare questa moda migrante in un ponte culturale. Ed abbiamo organizzato delle rassegne alle quali hanno partecipato anche i ragazzi proprio per aprirci al mondo e far si che questo progetto diventi sia un fare economia sul territorio, sia fare integrazione sul territorio. Questo avviene anche in negozio dove cerchiamo di organizzare dei piccoli momenti di scambio culturale, infatti in negozio ci sono due ragazze, una di origine marocchina l’altra di origine siriana e fanno parte del progetto SPRAR di Martina Franca.

 

Come funziona il lavoro in sartoria?

I ragazzi lavorano qui la mattina, il loro è un part time. Io do loro indicazioni, se non posso essere presente fisicamente lascio loro delle consegne e ci sentiamo costantemente tramite telefono e messaggi. Il grande successo finora sta proprio nella guida che gli offriamo nell’autodeterminazione e nell’essere responsabili del loro lavoro, li stimoliamo a diventare indipendenti e ad autogestirsi. Questo è l’aspetto fondamentale del progetto.

Non c’è una precisa gerarchia tra i ragazzi, io definisco i modelli e il significato da dare alla collezione, anche se poi c’è anche uno scambio con loro, la modellistica è di Patrizia Solito e i ragazzi lavorano sui vari compiti che vengono assegnati giornalmente. Non tutti tagliano ad esempio, però poi comunque c’è un margine di libertà nel lavoro. Quando i ragazzi lavorano sul modello possono in qualcosa anche essere liberi per aggiungere qualche dettaglio oppure sono io che cerco di capire quali sono le loro predisposizioni e assegnargli compiti più vicini alle loro propensioni e capacità tecniche. Questo scambio che avviene anche con noi, la necessità di rispettare delle regole, dei tempi di consegna e degli standard permette loro di integrarsi alla cultura italiana anche rispetto al fatto che vogliono fare questo lavoro qui in Italia.

Ad esempio Kifiliú, come prima Lamin, non cucivano, non sono sarti, eppure ho capito che Kifiliú è bravo a ricamare e cucire borse e quindi lui adesso si dedica a questo e può aggiungere dettagli alle borse. Io indico una linea maestra e poi lui su alcuni dettagli viaggia da solo.

Kifiliú al lavoro su una borsa

Come avviene la selezione dei ragazzi che partecipano al progetto?

La maggior parte dei ragazzi che prendono parte al progetto hanno delle basi, all’inizio no, c’è stato un periodo di formazione per chi non aveva mai avuto esperienze in questo settore. Mentre adesso cerchiamo di coinvolgere i ragazzi che hanno già esperienza e soprattutto un talento o comunque voglia e passione per il lavoro. La maggior parte dei ragazzi si autopropone o vengono selezionati quando si presenta il progetto nelle strutture dell’Associazione Salam sul territorio tarantino. Alcuni, come Anthony,  vengono anche da altre strutture.

Quali sono le provenienze dei ragazzi e come comunicate tra di voi?

Ad oggi in sartoria siamo in 4, la maggior parte dei ragazzi sono dell’Africa Sud Sahariana, quindi Senegal, Gambia, Anthony è della Sierra Leone, Kifiliù è del Togo, Sahanna è l’unica donna in sartoria al momento ed è del Pakistan, poi c’è Mustafà che è egiziano. Però di qua sono passati ragazzi di diverse nazionalità del centro Africa.

Tra di noi comunichiamo in diverse lingue, alcuni ragazzi parlano inglese, altri francese, altri invece non parlano per niente, parlano solo lingue dei loro territori di origine, proprio come Sahanna. Con lei ad esempio comunico a gesti e utilizzando il traduttore automatico di Google. L’intento è quello di cercare di muoverli ad imparare l’italiano come strumento per il loro futuro.

Un altro gap è quello religioso, qui dentro ognuno è libero ovviamente di professare la propria religione e, ad esempio, i ragazzi musulmani quando devono pregare si allontanano, però allo stesso tempo possono nascere delle incomprensioni come è normale quando si confrontano culture diverse e ci si confronta con le diversità. Magari all’inizio tra un ragazzo egiziano e uno senegalese può non correre buon sangue, ed è capitato che hanno avuto difficoltà a gestire il lavoro all’inizio. Questo poi è stato superato grazie al dialogo.

Provo a comunicare con Sahanna

Avete partecipato ed organizzato a numerosi eventi e ricevuto premi e segnalazioni, raccontami qualcosa.

Abbiamo organizzato delle sfilate in modo da vedere indossati i nostri abiti, sia a Taranto che in altre città. Quest’estate ad esempio abbiamo partecipato ad un evento a Monopoli, poi all’African Party, organizzato da un deejay di una radio locale che si chiama Ciccio Riccio, una persona molto impegnata in questo ambito, che fa il nostro stesso lavoro ma declinato all’ambito musicale.

Abbiamo partecipato all’Afro Fashion week a Milano partecipando alla Conferenza sull’Immigrazione all’Università Cattolica di Milano su Moda e Diversità. Poi siamo stati inseriti nel dossier sull’Immigrazione Internazionale e selezionati dal Ministero degli Interni come esempio di buona pratica da presentare alle altre realtà che si occupano di accoglienza ed anche siamo stati selezionati nel Catalogo ADI Design Index 2018 come progetto innovativo nel campo del Design per il Sociale.

Qual è l’approccio dei ragazzi a questo tipo di attività?

Durante questi eventi i ragazzi partecipano in maniera attiva se c’è qualcosa da fare come l’allestimento o la presentazione del progetto oppure come ospiti, ma allo stesso tempo sono liberi di non venire e di non partecipare.

La maggior parte dei ragazzi che arriva qui è un po’ restio a prendere parte a questo tipo di attività, ho partecipato a diversi workshop nazionali ed internazionali durante i quali mi sono confrontata con diverse realtà che lavorano sull’accoglienza e l’integrazione e la reazione è comune. Molti ragazzi non leggono queste iniziative con lo spirito con cui le concepiamo, c’è uno scoglio culturale di base che resta e che richiederebbe a monte degli strumenti di integrazione e mediazione.

Una foto con Kifiliù, Ida e Anthony

Provo a conoscere un po’ di più i ragazzi, che hanno continuato a lavorare durante la nostra presenza in sartoria, tagliando e cucendo gli abiti da consegnare in negozio, alcuni dei quali già ordinati da clienti affezionate.

Kifiliù è molto timido, faccio fatica a strappargli poche parole, arriva dal Togo, ha 28 anni, vive in Italia da poco più di due anni, è arrivato a Brindisi, poi è stato ad Ostuni e adesso vive a Taranto. Ha già avuto esperienza come sarto nel suo paese, confezionava magliette da uomo. Mentre Anthony ha 26 anni, è il più esperto in sartoria, taglia i modelli e si muove con sicurezza tra il tavolo da taglio, le macchine per cucire e il ferro da stiro per rifinire. Viene dal Senegal ed è arrivato in Italia da poco più di un anno ed è arrivato subito a Taranto, anche lui faceva il sarto nel suo Paese.

Mentre per parlare con Sahanna proviamo ad utilizzare il traduttore, lei è del Pakistan e parla soltanto urdu, ha 25 anni ed è madre di una bambina di 5 anni che frequenta la scuola dell’infanzia e sta cercando di insegnarle l’Italiano. Il tradurre però non sempre riesce a tradurre quello che vogliamo dire, quindi ci scambiamo grandi sorrisi, è una bella ragazza e lavora con molta cura, riesco solo a capire che a lei piace cucire, è contenta di fare questo lavoro e di essere qui, come tutti loro. L’ambiente è sereno, ma Ida ci tiene a specificare che oggi è una buona giornata, sono pochi e ho incontrato i più appassionati. In ogni caso mi sembra bellissimo vederli al lavoro, stare con loro e provare a scambiare impressioni ed emozioni e respirare culture diverse. Soprattutto quando inizia ad arrivare un profumo di cibo dal piano superiore, dove vivono altri ragazzi. L’odore del cibo ci mette di buon umore, vorrei condividere il pranzo con loro ma devo andare, io e Ida andiamo a conoscere le ragazze in negozio.

Il negozio Abiti dal Mondo

Arrivata in negozio incontro Hajar e Zeina, due bellissime ragazze, solari e cordiali. Hajar arriva dal Marocco, lavora come commessa nel negozio da marzo, si occupa della vendita e di raccontare il progetto sartoriale a chi si affaccia in negozio. Ha 22 anni, è in Italia da un anno e mezzo, parla molto bene l’italiano, ha imparato in Italia grazie al lavoro precedente come mediatrice e traduttrice nello SPRAR a Martina Franca e agli amici italiani, le sue lingue sono il francese e l’arabo. Questo la aiuta nel suo lavoro in negozio perché i clienti arrivano anche da tutto il mondo, ma ci sono anche italiani e tarantini. Le piace questo lavoro, perché le piace comunicare con le persone, raccontare e vendere. Si trova bene qui nonostante le differenze culturali, che comunque nel tempo si sono appianate, grazie alle relazioni che ha costruito qui.

Zeina è siriana, ha iniziato a lavorare in negozio da appena una settimana, è in Italia da un anno e vive a Martina Franca, fa la pendolare. Aveva già avuto esperienza come commessa in Libano, si era trasferita lì dalla Siria a causa della guerra. Dopo cinque anni vissuti in Libano si è trasferita in Italia. Anche lei è contenta di vivere in Italia, si è trasferita con tutta la sua famiglia, qui è riuscita a creare nuove amicizie che la aiutano ad integrarsi e ad imparare la lingua.

È stato bello chiacchierare anche con loro, adesso però finalmente mi dedico allo shopping!

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