Da ormai più di un anno mi sono avvicinato ad una singolare disciplina: l’Home Staging.
Come la maggior parte dei migliori incontri che capitano nella vita anche questo è avvenuto per caso, ricombinandosi poi con percorsi già avviati e nuove curiosità che mi hanno spinto ad indagare questo mondo anche in certi suoi aspetti meno esplorati.
Cosa si intende per Home staging?
Intanto va spiegato velocemente al lettore di cosa stiamo parlando: l’Home Staging è un insieme di tecniche di marketing proprie del mercato immobiliare che servono a valorizzare gli immobili posti in vendita o in locazione agendo sulla percezione del “prodotto-casa” da parte dei potenziali acquirenti. Nel progetto di home-staging sono indispensabili diverse conoscenze di marketing, composizione e comunicazione visiva e tutto il lavoro arriva poi a concretizzarsi in un allestimento degli ambienti che sarà la migliore “messa in scena” possibile tra quelle capaci di offrire, al visitatore interessato all’acquisto, una chiara lettura degli spazi unita ad una reazione emotiva all’esperienza di visita.
I risultati dell’home staging in termini di velocità di vendita sono ragguardevoli e si possono facilmente trovare le statistiche in rete ma io in questa sede vorrei concentrami su altro, vorrei analizzare il linguaggio espressivo usato dall’home-staging. Trovo infatti che questa disciplina, partita da esigenze meramente commerciali si stia evolvendo in una nuova forma d’arte visiva, al contempo piacevole e conturbante. Per introdurre l’argomento non esiste modo migliore che guardare alcuni esempi, tra quelli che reputo più interessanti, realizzati in Italia di recente, ecco quindi alcune immagini di stage per annunci di immobili in vendita.
Come le immagini avranno credo dimostrato, quella della emotività da accendere e far divampare nell’osservatore è la chiave su cui gioca ogni scatto fotografico ed ogni allestimento. Ma quello che si vede, come ogni home-stager ben sa, non è e non deve essere chiamato interior design. Perché?
Per dimostrarlo scomoderò nientemeno che Vitruvio il quale, nel De Architectura, aveva indicato i requisiti che devono essere necessariamente presenti per poter definire qualcosa “architettura” (e per estensione anche architettura di interni) attraverso tre parole chiave: solidità, utilità e bellezza. Vediamo come si adattano alla nostra situazione.
La solidità è quanto di più lontano si possa immaginare dallo staging immobiliare. Si pensi solo che negli immobili immessi nel mercato senza arredamento si usano spesso finti mobili di cartone ed altri oggetti posticci, perfettamente utili alla lettura dello spazio ma del tutto inadatti a resistere nel lungo periodo. Ed eccoci arrivati ad una prima differenza: la prova del tempo.
L’home-staging è per sua natura effimero. Al contrario della tradizionale progettazione non intende sfidare gli anni ma nasce già cosciente della propria scadenza: il giorno della conclusione della compravendita in cui l’intera scenografia, avendo concluso il suo ruolo commerciale, verrà smantellata. Si può dire di più, esso nasce con la speranza di avere vita breve, cosa che ne dimostrerà l’efficacia come tecnica di vendita.
L’utilità è un requisito che non riceve migliore accoglienza.
Lo stage è uno scenario pensato ad uso e consumo della sola vendibilità dell’immobile e mai della sua funzionalità; una caratteristica, questa seconda, che deve essere delegata ad uno studio successivo dal momento che non può prescindere dalla conoscenza delle abitudini, delle esigenze e dei desideri dei futuri proprietari, che ovviamente al momento dell’allestimento ancora non si conoscono. Quindi seconda differenza: l’home staging è un progetto fatto per degli sconosciuti; non potendo sapere in partenza chi sarà il destinatario del suo lavoro lo stager può solo creare la cornice ideale stando ben attento a non scegliere per essa alcuno specifico contenuto. L’impersonalità degli ambienti e degli oggetti sono lo strumento che l’allestitore usa per alludere e mai decidere l’assetto di uno spazio. Abbozzando vaghi tratti dell’immagine futura senza marcare scelte definitive egli lascia ai diversi osservatori la libertà di riempire, con le proprie prerogative ed il proprio gusto, gli spazi dentro la cornice.
La bellezza nell’home staging
Nel terzo dei requisiti vitruviani l’home-staging recupera tutte le posizioni perse in precedenza. Qui si disputa la partita dell’emotività, dell’azione finalizzata a suonare le note di quella ricerca di armonia, grazia e seduzione che è il timone di ogni scelta che facciamo, compreso l’acquisto di un immobile. E’ la parte creativa dell’allestimento, quella in cui si misurano i colori, le grane, i profumi e si cerca di dare anima all’inorganico. Poi la fotografia, l’arte che Frank Horvat definisce “l’arte di escudere” per il suo limitarsi ad una inquadratura, ad una cornice (appunto) che vuole delimitare un microcosmo, emarginare il tutto in favore di un poco. Rassicurante. Auto-censurante. Bellissima.
Se una casa può essere vista come un frutto estivo di cui gli abitanti si nutrono ogni giorno ed il suo progetto di architettura può essere immaginato come il fiore che in primavera ne preannunciava la maturazione, forse potremmo dire che l’home-staging è come un prematuro germoglio invernale di quello stesso albero: bellissimo e destinato a non sbocciare mai.
Ecco quindi che il linguaggio espressivo dell’home staging, a cavallo tra arte ed esercizio, trova nei suoi limiti di tempo, di spazio e di solitudine, il proprio sé. Come forse tutti noi.
Francesco Pecorari
Architetto e Home Stager
Istituto Italiano Design, Perugia.