Credo che avere il Pianeta Terra e non rovinarlo sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare.
(Andy Warhol)
“I rifiuti che getti vanno a finire nel futuro dei tuoi figli”, recitava uno spot degli anni 90’.
Se già negli anni 70’-80’ cartoni animati come “Barbapapà”, alcune puntate epiche di “Siamo fatti così” o la serie tv francese “C’era una volta lo spazio” (edizione RAI 1), “Ai confini dell’Universo” (edizione Italia 1), il cui titolo originale è “Était une fois… l’Espace”, lanciavano un messaggio ecologista ai più giovani, è perché probabilmente, già in quegli anni, si era capito che il cambio culturale per preservare il Pianeta dovesse arrivare dalle nuove generazioni.
Investire su di esse in modo che, una volta grandi, potessero porre rimedio all’inquinamento globale attraverso innovative pratiche sostenibili, nuovi modelli da seguire e una gestione avveduta delle risorse del pianeta. Ma è stato in seguito così? Davvero le politiche dei governi negli anni hanno messo da parte i forti interessi lobbistici in materia ambientale? Davvero si sono intraprese tutte le migliori azioni possibili volte ad agevolare le nuove generazioni nel difficile obiettivo di limitare l’impatto negativo dell’uomo sull’ecosistema?
L’uomo sotto le “bandiere” dello sviluppo e quella del progresso negli ultimi secoli, in maniera sempre più rapida e progressiva, ha messo in serie difficoltà il Pianeta Terra contaminando aria, suolo e mari, producendo in meno di un secolo danni incolmabili, maggiori di quelli fatti nell’intera storia dell’umanità, e consumando ogni anno sempre più energia di quanta la terra ne possa rinnovare.
I nostri genitori (per chi è nato negli anni 70’ 80’ 90’) hanno incominciato ad accorgersi con contezza che qualcosa non andasse, quando a seguito dei primi studi condotti da Sherry Rowland nel 1974, sull’umanità si è abbattuto lo spettro del “Buco nell’ozono” che, se già da i primi tempi è riuscito a dividere la comunità scientifica, da una parte qualcuno sosteneva (e sostiene) che non fosse generato dall’uomo ma da cause naturali, dall’altra parte ha acceso i riflettori costringendo i governi mondiali ad adottare prime misure per ridurre la produzione di gas, in particolare il gas CFC ritenuto all’epoca l’unica causa.
Ogni uomo, ogni abitante di questo Pianeta, nella sua quotidianità concepisce azioni in grado di provocare quello che si può definire un “butterfly effect” nell’ambiente. Se si pensa che gli uomini sulla terra raggiungono il numero di circa 7,6 miliardi di unità, capiamo come la nostra specie, anche se non la più diffusa in termini numerici, è di certo la più influente del Pianeta, e di conseguenza risulta determinante con una considerevole incidenza sulle sorti del mondo i nostri comportamenti. Comprendiamo, quindi, che non è più rinviabile che l’uomo, in particolare la nuova generazione, si interroghi su quanto tempo ancora ci sia per intraprendere azioni volte a “salvare il mondo”.
I figli delle nuove generazioni pongono maggiore attenzione all’eco-sistema rispetto al passato, una ricerca condotta da Astraricerche e Comieco nel 2015, spiega che l’81% dei ragazzi ha a cuore l’ambiente e spesso timidamente, cercano di imporsi sugli adulti fungendo da piccoli educatori. Un esempio, riprendendo quei genitori che, dopo aver scartato un pacchetto di sigarette, gettano la plastica dell’involucro fuori dal finestrino dell’auto. Ancora purtroppo, però, non esiste un moderno e innovativo “modello” del nuovo abitante del mondo, di un cittadino che rispetta, ama e preserva il pianeta in cui vive, prima per sé e dopo per chi lo risiederà dopo di lui. Pianeta che ognuno di noi dovrebbe innalzare al di sopra dei propri meri interessi, con la consapevolezza sempre più attuale, che sussiste anche in relazione all’eco-sistema la ricerca di un bene o un benessere con la <<b>> minuscola, che è quello che riguarda solo la sfera personale dell’individuo, e poi un Bene o un Benessere con la <<B> maiuscola, che rimira in maniera più ampia all’intero genere umano, Bene a cui l’individuo contemporaneo deve tendere.
Questo cambiamento ci è imposto dai nuovi cambiamenti climatici, dal global warming, dalla plastica nei mari, dalla contaminazione degli elementi, mancanza di preservazione della biodiversità, estinzioni e lo sfruttamento continuo delle risorse rinnovabili del pianeta, affinché tutti questi segnali non rappresentino il preludio del countdown a cui va incontro la vita del nostro Pianeta.
Serve chiedersi: c’è ancora una speranza? Il futuro della terra è “green”? L’uomo fa ancora in tempo a salvare il mondo che abita? Da dove bisogna avviarsi per creare un’inversione di marcia?
Quello che abbiamo definito il moderno abitante del mondo non deve arrendersi al disfacimento del Pianeta, ma deve necessariamente rilanciare attraverso una nuova etica che metta al centro sempre l’Uomo, ma che, parafrasando John Fitzgerald Kennedy, non si chieda cosa il suo Paese possa fare per sé, ma cosa possa fare lui per il suo Paese. Un Uomo che, quindi, riparte dai suoi piccoli gesti, dalle sue piccole ma rilevanti azioni quotidiane come fare bene la raccolta differenziata, non gettare per strada una semplice carta, riciclare le cose quando è possibile, prediligere cibi a chilometri “0”, creare una casa eco-sostenibili a misura d’uomo e tutte quelle numerosissime piccole azioni che contribuiscono a preservano l’ambiente.
Solo dopo, se queste piccole azioni riguarderanno sempre più persone, allora avrà senso vivere conseguenzialmente in una Smart city e poi ancora in una nazione e in un mondo più “green”. Se il genere umano progetterà in fretta nuovi paradigmi ispirati da un nuovo concetto di Educazione come mediazione tra Uomo e Natura, allora ognuno di noi riuscirà finalmente a prendersi la responsabilità del futuro del pezzo di mondo che ci appartiene e ognuno di noi potrà vivere di conseguenza, prima in un Pianeta migliore e poi, attraverso un “patto tra generazioni”, lasciare a chi verrà dopo un Pianeta da volere bene e rispettare.
Carlo Ruben Stigliano